Salvate Point Break
Mattia Ferraresi difende sul Foglio "la natura degli anni Novanta" e il surfista Bodhi
Il corrispondente da Washington del Foglio Mattia Ferraresi interviene oggi con un’appassionata difesa del film “Point Break” (e degli anni Novanta della sua generazione) dai progetti di farne un remake, o un seguito.
Se è vero che i banditi che stanno lavorando al remake di “Point Break” vogliono consegnare al mondo la versione per “i giovani del ventunesimo secolo”, chi ci metteranno al posto di Anthony Kiddis e Flea a fare le risse sulla spiaggia, gli Arcade Fire? Damien Rice? E chi se prende la responsabilità di far rivoltare nella tomba Patrick Swayze, quello che in “Ghost” era bello e bravo, ma nei panni del surfista-filosofo “Bodhi” era un assaggio di paradiso?
Pur di deturpare la natura degli anni Novanta quelli della Warner Bros qualcosa inventeranno, alla faccia di chi si era asciugato la fronte quando il millantato progetto di un sequel era fallito apparentemente senza appello. Ma le pessime idee hanno sempre una seconda chance. A breve giro di produzione arriverà quindi il rifacimento del capolavoro di Kathryn Bigelow, la regista che pur avendo regalato scorci immensi (e immensamente riconosciuti) con “The Hurt Locker” forse non è mai arrivata a racchiudere l’essenza di un’epoca in una pellicola come quella volta, nel lontano 1991, in cui ha raccontato la storia dell’agente Jonnhy Utah che s’infiltra nella banda degli ex presidenti e ne rimane irresistibilmente attratto. Per la piccola e fedele comunità che trova offensiva l’etichetta di “action movie” applicata a “Point Break”, quel film è una summa storica e psicologica, una storia basata sul surf che non parla di surf, un inseguimento morale nello stile dei “Miserabili”, un ritratto di quegli anni di sazietà e dissipazione, di ricerca intensa e disillusa, dove i motti di una filosofia orientale da spiaggia cercano di farsi largo nel vuoto della cultura del testosterone
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