Che cosa dice la sentenza su Ustica
I risarcimenti ordinati ai ministeri ammettono la validità di una tesi ben precisa sul disastro del 27 giugno 1980, e ora lo Stato deve decidere cosa farne
Il 27 giugno 1980 ottantuno persone morirono in un disastro aereo nel cielo tra le isole di Ustica e Ponza: disastro al quale ancora oggi, dopo oltre trent’anni, non sappiamo dare una spiegazione precisa.
Negli anni si sono fatte decine di ipotesi, dalla bomba a bordo dell’aereo fino all’attacco missilistico e alla battaglia tra caccia militari, e si è assistito – specie nei primi anni di indagini – a tutto il repertorio di depistaggi e oscurità che hanno caratterizzato i cosiddetti “misteri d’Italia”. Ieri il tribunale civile di Palermo ha condannato i ministeri dei Trasporti e della Difesa a pagare un risarcimento di 100 milioni di euro ai parenti delle 81 persone uccise dal disastro. Il ministero dei Trasporti è stato condannato per “non aver saputo garantire la sicurezza del volo”, mentre il ministero della Difesa è stato condannato per “l’occultamento della verità e i depistaggi”, per gli “ostacoli frapposti all’accertamento delle cause del disastro e alla punizione dei colpevoli”.
Il tribunale di Palermo aveva già condannato il ministero della Difesa a risarcire i parenti delle persone uccise, tre anni fa, ma per una cifra molto inferiore, intorno al milione di euro. Stavolta si parla di una cifra cento volte più grande e il dispositivo della sentenza in alcuni passaggi lascia intendere quale tesi viene oggi ritenuta più credibile. L’avvocato Daniele Osnato, rappresentante dei parenti delle persone uccise, ha detto che «nella sentenza si parla esplicitamente del famigerato “Punto Condor”, un tratto dell’aerovia militare usata dai francesi, la “Delta Wisky”, che incrocia proprio sopra il cielo di Ustica l’aerovia civile “Ambra 13”». Si sostiene, in pratica, che quella notte un caccia francese abbia esploso un missile diretto verso un aereo che aveva a bordo Muammar Gheddafi. Questo sarebbe riuscito a schivare l’obiettivo perché informato dal SISMI, il servizio segreto militare italiano, e il missile avrebbe colpito così il volo passeggeri italiano, nel punto in cui l’aerovia civile incrocia l’aerovia militare. La tesi è stata sostenuta per anni, tra gli altri, da Francesco Cossiga, e in relazione a questa tesi l’anno scorso l’allora ministro della giustizia Angelino Alfano aveva firmato quattro rogatorie internazionali – verso Stati Uniti, Francia, Belgio e Germania – finite nel nulla.
La tesi è stata contestata ieri da un membro del governo, Carlo Giovanardi, che ha fatto notare come la sentenza di ieri contraddice le precedenti sentenze sul caso Ustica, soprattutto quella del 2007 che aveva assolto i militari dalle accuse di depistaggio. Giovanardi si dice convinto di un’altra tesi, quella della bomba a bordo dell’aereo. «È ormai accertato, sulla base della documentazione acquisita presso la NATO, che nessun altro aereo era in volo in prossimità del DC9 mentre una commissione di periti internazionali ha concluso all’unanimità per l’esplosione di una bomba in una toilette di bordo». L’associazione dei familiari delle vittime ha risposto dicendo che «la verità ha trovato una conferma nelle parole dell’ex presidente Cossiga» e ha detto di augurarsi che il governo italiano si rivolga ai paesi alleati per «sapere chi è stato il responsabile della strage» e che possano arrivare ulteriori informazioni dai documenti dei servizi segreti di Gheddafi, ora che il suo regime è caduto.
Nel frattempo a Roma è ancora aperta un’indagine sulla strage di Ustica, quella che ha generato le rogatorie internazionali di cui sopra. Le indagini avrebbero individuato le tracce radar di quattro aerei militari – formalmente sconosciuti e forse francesi – di cui una rogatoria italiana ha chiesto alla NATO la formale identificazione. Andrea Purgatori sul Corriere della Sera scrive che molto di quello che succederà dipenderà dalla decisione dei ministeri di fare o no appello rispetto alla sentenza di ieri.
Cosa accadrà adesso? La palla passa all’Avvocatura dello Stato. Un appello, per quanto impopolare, rimetterebbe tutto su un binario morto o quasi. In caso contrario, lo Stato potrebbe decidere di rivalersi su coloro i quali, la sera della strage, occupavano una posizione di responsabilità. Persino sui generali assolti dall’accusa di depistaggio con la clamorosa sentenza del 2007.