I 29 scudetti della Juve
Michele Serra accusa il nuovo stadio torinese, ma la questione è complessa
A margine delle unanimi ammirazioni e celebrazioni del nuovo stadio della Juventus a Torino, sono nate delle polemiche su un dettaglio, una scelta formale ma di alta portata simbolica: ovvero l’esibizione dei 29 scudetti vinti dalla Juve sul campo, ovvero i 27 riconosciuti più i due che furono annullati a tavolino dopo le sentenze sul cosiddetto caso Moggi e sugli imbrogli nell’organizzazione dei calendari degli arbitri. Oggi ne ha scritto anche Michele Serra nella sua rubrica su Repubblica.
Nel suo nuovo, bellissimo stadio torinese, la Juventus espone con legittimo orgoglio i titoli conquistati. Tra questi anche i due scudetti revocati dalla giustizia sportiva, incastonati nelle nuove mura con identica dignità degli altri ventisette. Il significato del gesto è di lampante chiarezza: quanto ha deciso la giustizia sportiva è ininfluente.
Serra contesta il mancato rispetto della sentenza sportiva e la rivendicazione di scudetti che rispetto alle regole condivise non le appartengono.
Per la Juventus quei due scudetti sono vinti, punto e basta. Non so fino a che punto i giovani eredi Agnelli siano coscienti della devastante forza simbolica di questa ostensione, che ribadisce nel più autorevole e insieme popolare dei modi quanto, del resto, ci è già noto da tempo: niente, in questo paese, è uguale per tutti, tanto meno quanto discende da un’autorità pubblica, da una legge, da una regola (teoricamente) riconosciuta. Sono le passioni private, tanto più se sostenute dal potere maieutico del denaro, a prevalere sempre e comunque: e se gli Agnelli hanno deciso che quei due scudetti sono della Juve, quei due scudetti sono della Juve. Siamo, in questo senso, un paese feudale, e se il nuovo stadio bianconero ha splendida modernità di forme, quei due trofei rapiti alle pubbliche galere ed esposti all’adorazione del popolo ne rivelano il cuore da antico maniero. Il Signore detta le mosse del torneo, la folla plaude. La legge? Si fotta.
Il discorso di Serra è da una parte convincente: se con tanta pubblica sfacciataggine una grande società nega la validità di una decisione presa stando alle regole, per quanto contestata, il rispetto di quelle regole va a farsi benedire. L’argomento convincente è quello del “rischio della delegittimazione” tanto spesso evocato di fronte agli attacchi berlusconiani nei confronti delle decisioni della magistratura contro di lui, ma anche spesso usato come alibi per negare a chiunque la possibilità di muovere critiche a sentenze o decisioni giudiziarie assolutamente criticabili, in nome di condivisi principi democratici e di libertà d’espressione.
E qui arriva quello che convince meno nelle accuse di Serra (che, per inciso, è interista: il Post tende a giudicare le cose per quel che valgono e non per chi le dice, ma la citazione dei “feudi” gli si ritorce un po’ contro). Quello della Juventus non dovrebbe essere infatti considerato un legittimo atto di dissenso pubblico da una sentenza, che nulla toglie alla sua esecuzione e al fatto che la Juve la rispetti? La squadra non ha deciso di andare in campo con quegli scudetti sulle maglie, che sarebbe stato illecito. Ha fatto una cosa equiparabile a dire “Valpreda innocente”, seppure in una dimensione piuttosto vistosa e da un pulpito che ha delle grosse responsabilità. E qui torniamo ai famosi rischi di delegittimazione. Ma la questione, rimuovendo le inclinazioni dei tifosi a opinioni nette, è complessa, interessante, e molto simbolica delle cose italiane.