«Ora facciamo altre cose, e meglio»
Carol Bartz è stata licenziata ieri da amministratore delegato di Yahoo!, il peraltro direttore del Post l'aveva intervistata a giugno per Wired
di Luca Sofri
Questa intervista a Carol Bartz, ieri licenziata da amministratore delegato di Yahoo, è stata fatta da Luca Sofri a giugno 2011 per Wired, che l’ha oggi pubblicata sul suo sito.
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Ogni mese faccio un giro nei paesi dove lavoriamo, così adesso sono stata in Medio Oriente e poi sono venuta qui in Italia.
Nel Medio Oriente stanno succedendo un sacco di cose, in questi mesi, e si è molto parlato del ruolo di Internet…
Io credo che il cambiamento arrivi non grazie alla tecnologia, ma grazie alle persone. Possiamo dare Internet a un altro popolo e magari non succede niente: non è la causa, è uno strumento.
Lei pensa che Yahoo! possa avere un ruolo nel cambiamento del mondo in meglio, un ruolo che non sia solo quello dell’impresa commerciale?
Se intende che la libera circolazione delle informazioni sia una cosa buona per la gente, allora sì. Ma noi pensiamo che non sia per questo che siamo un’azienda: siamo un’azienda perché c’era questo nuovo strumento, il Web, che era difficile da capire – e lo è ancora di più oggi – e quindi nacque l’idea di un medium digitale che aiutasse a trovare in un solo posto le informazioni di cui abbiamo bisogno, risparmiando tempo.
Pensate di avere una responsabilità nella selezione di queste informazioni?
No. Vogliamo avere una voce nel servizio che diamo ma non vogliamo prendere parte.
Non mi riferivo tanto al prendere parte politicamente, quanto alla selezione qualitativa delle notizie e delle informazioni, al loro valore e affidabilità.
Questo è ‘ il problema Wikipedia’. Mia figlia ha imparato a essere molto attenta a usare Internet come fonte, perché sa che chiunque può scrivere qualsiasi cosa. I giovani hanno preso le misure molto prima degli adulti. Noi di Yahoo! ci affidiamo a fonti affidabili, abbiamo i nostri editor, e facciamo un grande lavoro di filtro sul linguaggio, stiamo molto attenti. Ma poi pensiamo che i lettori debbano essere liberi di orientarsi in quello che leggono.
E queste cose le pensa anche quando legge notizie sul fatto che lei potrebbe non essere più a capo di Yahoo! l’anno prossimo?
No: penso che ci sia un’abitudine a fare circolare le stesse notizie, e che Internet sia ovviamente responsabile di questo: in effetti, io non penso che il giornalismo sia più giornalismo. Vediamo articoli fatti di pezzi incollati insieme e grancasse di voci, e quando riguardano te, non è bello.
Si dà il caso che però lei – Yahoo! – sia anche il suonatore della grancassa…
Lo so! Capisco esattamente cosa intende…
E…
La vita è così oggi. È come il mondo prima e dopo le mail: è cambiato tutto. E lavoriamo diversamente, viviamo diversamente. Noi cerchiamo di facilitare le cose.
La gente pensa che Yahoo! fosse il maggior motore di ricerca del mondo e poi è arrivato Google. Cosa è successo davvero a Yahoo! in questi quindici anni?
Prima rispondo a questa ricostruzione: Yahoo! è tuttora il più grande sito degli Stati Uniti. Siamo il numero uno nel mondo nelle news, nella finanza, nell’entertainment, in moltissimi altri campi in cui siamo davanti a Google. La ricerca è oggi solo parte del nostro business. Ma nei contenuti, nei media, Google non è grande come noi. Quando succedono eventi straordinari come lo tsunami, la gente viene da noi a cercare notizie. Quello che è cambiato in quindici anni è la scala di Internet, a cui Yahoo! si è adattata. 15 anni fa un motore di ricerca era la prima necessità per gli utenti. Ora facciamo altre cose.
E in futuro? Farete altre cose?
Io non credo ci sarà necessità di fare altre cose, ma di fare meglio le cose. Già oggi offriamo a ciascun utente servizi e pagine diverse a seconda di quello che cerca e di cui ha bisogno. Lo faremo sempre meglio.
Ha a che fare con la tecnologia o con la comprensione dei bisogni e delle opportunità?
Tutti e due. Con la tecnologia, certo: mentre noi ti guardiamo – beh, bisogna stare attenti con l’espressione ‘ ti guardiamo’ –, mentre vediamo quello che fai, la macchina si forma un’opinione su quello che ti piace e continua ad affinarla. Ma il lavoro degli editor umani è anche fondamentale nel distinguere le situazioni eccentriche rispetto a questa opinione: come con lo tsunami, una notizia che interessava a tutti. Quando è uscita la notizia della morte di Michael Jackson, Google l’ha accantonata, perché le sue macchine pensavano fosse spam. Noi abbiamo persone che vedono più cose e capiscono.
Quindi le macchine hanno dei limiti, secondo lei?
Eccome, certo che hanno dei limiti. Imparano, prevedono quello che arriva da lontano, ma non si accorgono di quello che arriva lateralmente. Migliorano, ma tenderanno sempre a un asintoto. Ci sarà sempre qualcosa che non sapranno.
Anche gli umani, se è per questo…
Anche gli umani, già.
Cosa pensa delle preoccupazioni sulla privacy e sulle informazioni personali che vengono raccolte in Rete?
Io credo davvero che le informazioni personali siano molto importanti…
Per chi?
Per le persone. Ma dobbiamo anche essere consapevoli della quantità di informazioni personali che diffondiamo tutto il tempo, e non essere sconvolti quando qualcuno poi le possiede. Ma non penso si debbano usare informazioni che qualcuno ha diffuso inavvertitamente e Yahoo! prende queste cose molto sul serio.
Posso sapere quello che Yahoo! sa di me?
Sono dati accessibili e verificabili facilmente e in ogni momento dagli utenti.
Lei cosa pensa quando viene a sapere che il suo iPhone registra i posti dove va?
Intanto non sono sicura che sia così. Poi di solito quando qualuno mi chiede se può usare la mia localizzazione rispondo di no. Credo che qualcuno ce l’abbia? Sì.
E questo la preoccupa?
No. Sono cose cambiate molti anni fa. La gente offre informazioni attraverso le carte di credito da tempo, moltissime informazioni. Io penso che molto di questo mi faciliti la vita. Sono contenta se capiscono meglio cosa voglio. Come avremmo scoperto molte cose nuove senza questa possibilità?
Però forse non scopriamo più davvero cose nuove: scopriamo cose che ci assomigliano, che assomigliano ad altre, e perdiamo la scoperta imprevista, accidentale. Non frequentiamo più nuovi mondi…
È vero, ma dobbiamo andarceli a trovare forse anche fuori dalla rete. Spegnere il computer ed entrare in un supermercato, in una libreria: quando lo faccio trovo cose fantastiche!
È contenta del suo lavoro?
Lo adoro, adoro la gente con cui lavoro, non sempre mi piacciono i giornalisti. No, ok, mi piacciono, ma sa le cose che le ho detto prima? Le stesse notizie riciclate e appiccicate insieme, i titoli che dicono cose diverse dagli articoli…
Perché lo fanno, secondo lei?
Perché sono pigri. E perché il sensazionalismo vende. Perché funziona, lo so anch’io: I’m in the business.
E secondo lei possiamo fare qualcosa per cambiarlo?
Possiamo chi? Io e lei?
Lei, io, quelli che condividono questa lettura…
Il sistema funziona così. Non significa che ci debba piacere, ma siamo realistici: no, non credo che cambierà.
(JOSEP LAGO/AFP/Getty Images)