Come stiamo messi
Dev'essere in momenti come questi che a volte si abbraccia una fede
Ci sono volte in cui il semplice racconto delle cose è più efficace di qualsiasi commento. Da mesi le istituzioni internazionali, dall’Unione Europea al Fondo Monetario Internazionale, esprimono preoccupazione per le condizioni economiche del nostro paese: per la stagnazione della sua economia e per le dimensioni del suo debito. Queste preoccupazioni si sono aggravate all’inizio dell’estate con alcune bruttissime giornate delle Borse che hanno costretto il governo ad anticipare la manovra finanziaria prevista per settembre e ad approvare in fretta e in furia una legge da circa 70 miliardi di euro – inizialmente dovevano essere 43 – ripartiti nel seguente strano modo: 2 miliardi nel 2011 e 5,5 nel 2012, e poi 24 nel 2013 e 47 nel 2014.
Dato che il 2013 è lontano e allora ci sarà un nuovo governo, non è sorprendente che i mercati finanziari non si siano fidati e che la manovra abbia fatto tutto meno che rassicurare la comunità internazionale sulla capacità del governo italiano di affrontare adeguatamente la crisi. Ragione per cui si è resa necessaria un’altra manovra, una finanziaria d’emergenza da altri 45 miliardi, approvata dal Consiglio dei ministri a ridosso di Ferragosto sotto forma di decreto legge. Il Parlamento ha 60 giorni per emendare e approvare definitivamente il decreto legge.
Ne sono passati 19 ed ecco, sinteticamente, quello che abbiamo visto. Il cosiddetto “contributo di solidarietà”, il prelievo straordinario sui redditi oltre i 90.000 euro, è stato prima introdotto, poi messo da parte, poi nuovamente introdotto. L’abolizione delle province è stata prima timidamente introdotta, poi ritirata, poi rimandata a chissà quando. La riforma delle pensioni di anzianità non era nella stesura firmata dal Capo dello Stato: è stata introdotta con gran solennità dopo un vertice ad Arcore ed è durata lo spazio di un giorno, affossata dalla Lega e dai dubbi sulla sua costituzionalità. L’aumento dell’IVA è stato prima minacciato, poi definitivamente escluso, oggi è di nuovo suggerito. La manovra deve ancora essere discussa nelle aule parlamentari e già non si sa dove trovare una buona fetta dei 45 miliardi da tagliare. Stiamo assistendo rassegnati – fateci caso, davvero rassegnati – a una quotidiana esibizione di fallimenti, resa farsesca e non tragica solo dalla decisione della BCE di fornirci copertura economica comprando sistematicamente i nostri titoli di Stato.
In molti paesi le condizioni straordinarie imposte dalla crisi economica hanno permesso di trovare la forza e il consenso per approvare misure congruamente straordinarie: grandi e ambiziosi piani di investimenti pubblici in infrastrutture, istruzione e ricerca, nei paesi che hanno potuto permetterselo, e incisivi progetti di ristrutturazione, liberalizzazione e semplificazione burocratica per i paesi – come è l’Italia – le cui dimensioni del debito non permettono grandi spese. Non è necessariamente una prospettiva frustrante: molte delle cose migliori che abbiamo, dalla Costituzione all’Euro, sono frutto di grandi difficoltà e grandi sacrifici. Questo governo si porterà con sé, tra le moltissime altre responsabilità, non tanto quella di aver creato questa crisi – le origini delle arretratezze di questo paese risalgono a molto tempo fa, e non ci sono parti politiche esenti da colpe – quanto quella di averla consapevolmente aggravata con la sua sfrontata inadeguatezza e la sua mediocrità politica e umana.
Perché questo è il più grosso difetto di questo governo, tra i suoi moltissimi: la mediocrità. Più del disprezzo per le istituzioni, più del disinteresse verso la legalità e l’etica pubblica, più della volgarità e della cialtroneria. Ci sono sì volte in cui il semplice racconto delle cose è più efficace di qualsiasi commento, ma il commento “carrello di bolliti” utilizzato oggi da Massimo Gramellini per definire il presente governo ha una sua completezza di sintesi. Un normale governo europeo di centrodestra – parte politica dalle cui impostazioni il Post è solito dissentire – avrebbe infatti affrontato l’attuale situazione di emergenza da normale governo europeo di centrodestra: tagliando la spesa pubblica, gli sprechi e i privilegi, abbassando le tasse per rilanciare i consumi, liberalizzando e privatizzando ovunque fosse possibile. Non sarebbe stata una manovra perfetta, probabilmente sarebbe stata una manovra discutibile. Ma sarebbe stato comportarsi da seri responsabili dei bisogni delle persone e della comunità.
L’ultima significativa riforma approvata da questo governo, prescindendo dal suo merito, è quella dell’università. Data dell’approvazione definitiva da parte del Parlamento: 23 dicembre 2010. Più di otto mesi fa. Da allora abbiamo parlato di tutto concludendo niente e oggi, in una delle fasi più delicate della sua storia, l’Italia discute da venti giorni di una manovra che non è niente, come il governo che l’ha proposta. E che incredibilmente non appare minacciato da niente e nessuno se non da se stesso, o da improvvisi rovesci di fortuna che a volte arrivano alle spalle, e non da intercettazioni, scandali sessuali, capricci della Lega o case di Scajola: dev’essere in momenti come questi che a volte si abbraccia una fede. Ma nessun governo tecnico o istituzionale, nessuna campagna elettorale, potrà fare peggio all’Italia e agli italiani di come stanno messi ora.
foto: TIZIANA FABI/AFP/Getty Images