Nuovi guai per i terremotati haitiani
La ricostruzione stenta, la comunità internazionale è sempre meno attenta e nella vicina Repubblica Dominicana i profughi sono malvisti
A più di un anno e mezzo dal devastante terremoto che ha colpito Haiti nel gennaio del 2010, le centinaia di migliaia di profughi che hanno lasciato il paese stanno affrontando un deciso peggioramento delle loro condizioni, dovuto in primo luogo alla diminuita accoglienza da parte dei paesi vicini.
Haiti si trova nella metà occidentale dell’isola di Hispaniola, a sudest di Cuba, mentre l’altra metà è occupata dalla Repubblica Dominicana. Il responsabile per l’immigrazione della Repubblica Dominicana, José Ricardo Taveras, ha recentemente detto che sono 500 mila gli haitiani che vivono nel suo paese, molti dei quali arrivati dopo il terremoto. Il partito di Taveras è noto per le sue posizioni dure nei confronti dell’immigrazione, e secondo quanto riporta il New York Times le organizzazioni umanitarie denunciano rimpatri forzati e respingimenti al confine. Anche Giamaica e Bahamas avrebbero iniziato a rimpatriare immigrati haitiani, mentre gli Stati Uniti, dopo aver sospeso per diversi mesi i rimpatri, hanno annunciato che quest’anno ne riporteranno ad Haiti circa 700, per la maggior parte persone condannate negli Stati Uniti per qualche reato.
Anche la popolazione dominicana sembra essere d’accordo con la linea intransigente del suo governo: la scorsa primavera sono comparsi manifesti che invitavano gli haitiani a tornare a casa e ci sono state proteste e manifestazioni in piazza. Gli haitiani sono accusati di occupare posti di lavoro nelle piantagioni di caffè, accettando salari bassissimi, e l’epidemia di colera che sta colpendo Haiti facendo migliaia di morti (lo scorso giugno, dopo le pesanti piogge, si è avuto un nuovo picco nei contagi) minaccia di espandersi anche al paese vicino, dove ha già fatto un centinaio di vittime.
La crescente intolleranza nei confronti degli immigrati haitiani, ricorda il New York Times, arriva in un momento in cui la comunità internazionale sembra sempre meno interessata a fornire aiuti alla popolazione colpita dal terremoto. La gestione delle conseguenze del disastro è stata particolarmente lenta, a causa dell’inadeguatezza del governo di Haiti e della mancanza di coordinamento con le molte organizzazioni umanitarie presenti nel paese. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni , oltre 600.000 persone vivono ancora nelle centinaia di campi profughi di Haiti gestiti dalle organizzazioni internazionali.
La situazione è resa peggiore dall’instabilità politica del paese: Michel Martelly, il presidente eletto a maggio 2011 con un passato da cantante di successo, non è ancora riuscito a formare un governo dopo oltre tre mesi dall’elezione.
Il terremoto che ha colpito Haiti il 12 gennaio 2010 aveva un’intensità devastante, valutato intorno al grado 7 secondo la scala Richter e di intensità IX secondo la scala Mercalli. L’epicentro era a pochi chilometri dalla capitale Port-au-Prince, che venne quasi completamente rasa al suolo. Non si ha ancora una stima definitiva dei morti nel disastro: il governo li ha valutati tra 200.000 e 250.000, alzando il numero a 316.000 nel primo anniversario del terremoto, ma le sue stime sono spesso state accusate di essere inattendibili. Secondo altri, la cifra più verosimile sarebbe intorno ai 140.000, o ancora inferiori.
Un rapporto della Banca per lo Sviluppo Interamericana a un mese di distanza dal sisma ha stimato i danni in una cifra compresa tra gli 8 e i 14 miliardi di dollari (basandosi però sul numero di morti dichiarato dal governo haitiano). Anche prima del sisma, Haiti era il paese più povero di tutto l’emisfero occidentale.
foto: AP Photo/Eduardo Verdugo