E la Somalia?
Che cosa c'è da sapere sulla più grande crisi umanitaria degli ultimi tempi, che continua anche oggi con migliaia di morti per la carestia
La crisi umanitaria in Somalia prosegue da molte settimane e sta colpendo milioni di persone, causando migliaia di morti. Complici gli sviluppi della guerra in Libia e i disastri naturali negli Stati Uniti, l’attenzione nei confronti della carestia è però diminuita enormemente negli ultimi giorni e le notizie sulla Somalia sono gradualmente scomparse dalle prime pagine dei giornali e dagli altri mezzi di comunicazione. Mentre ci occupavamo di altro, le cose non sono per niente migliorate.
La carestia
Un prolungato periodo di siccità, il peggiore negli ultimi 60 anni, sta colpendo l’Africa Orientale da diverse settimane, causando una carestia in una delle aree più povere del mondo che interessa circa 12 milioni di persone in Etiopia, in Kenya e soprattutto in Somalia. Le scarse piogge hanno portato alla morte del bestiame e delle coltivazioni di pastori e contadini, oltre a un grande aumento dei prezzi per i pochi beni ancora disponibili. Secondo un rapporto rilasciato negli ultimi giorni dall’agenzia governativa statunitense USAID, le scarse precipitazioni continueranno ancora per molti mesi, e le popolazioni locali saranno in pesante difficoltà fino al raccolto dell’agosto 2012.
Lo scorso 20 luglio le Nazioni Unite hanno dichiarato ufficialmente l’emergenza alimentare in due province della Somalia meridionale (successivamente estesa ad altre tre). L’ONU dichiara formalmente una carestia quando viene verificato che in una certa area del mondo un bambino su tre è malnutrito e che ogni giorno un bambino su 2.500 muore per la fame. Le carestie vengono dichiarate con molta cautela: questa è la prima volta che accade nel XXI secolo. In Somalia non accadeva dal 1992.
La situazione è particolarmente drammatica nelle zone a sud e a est della capitale Mogadiscio, come mostra la mappa diffusa dall’USAID e aggiornata al 25 agosto. La popolazione delle zone più colpite cerca di spostarsi verso la capitale e verso i campi profughi poco oltre il confine, e le difficili condizioni igieniche aiutano la diffusione del colera: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, più di 180 persone sono morte per la malattia in un ospedale di Mogadiscio, e il rischio di un’epidemia è ritenuto molto alto.
Gli aiuti
Le Nazioni Unite hanno definito quello che sta avvenendo nella regione del Corno d’Africa “la peggior catastrofe umanitaria del mondo in corso”. Le vittime sono già state decine di migliaia, per la maggior parte bambini. Il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite sta attualmente fornendo cibo a 1,6 milioni di cittadini kenioti, a 530.000 rifugiati arrivati nel paese. In Somalia, le organizzazioni di soccorso raggiungono attualmente 1,77 milioni di persone, meno della metà dei 3,7 milioni che si stima abbiano bisogno di aiuto. Il Comitato internazionale della Croce Rossa ha iniziato a distribuire razioni di emergenza valide per tre mesi a più di un milione di persone nella Somalia centrale e meridionale.
Intorno agli aiuti sono emerse di recente anche diverse situazioni di difficoltà e cattiva gestione: un campo profughi nel nordest del Kenya è stato lasciato per mesi chiuso e vuoto dal governo keniota, a causa delle resistenze della popolazione locale. Nel campo di Dadaab, invece, il più grande del mondo con oltre 370.000 rifugiati, si sono avuti scontri con le forze di sicurezza. Per quanto riguarda le razioni alimentari, un’inchiesta dell’Associated Press ha rivelato che tonnellate di cibo arrivate in Somalia non vengono distribuite, ma rubate e rivendute.
Giovedì 25 agosto la Banca Africana per lo Sviluppo e l’Unione Africana, le maggiori organizzazioni sovranazionali del continente, hanno annunciato di aver raccolto 356 milioni di dollari per fronteggiare l’emergenza. La cifra che si prevede necessaria per la gestione complessiva dell’emergenza è di circa 2,5 miliardi di dollari.
Il 19 agosto, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan ha visitato Mogadiscio con la sua famiglia e quattro ministri del suo governo, promettendo per il prossimo futuro la costruzione di strutture sanitarie e di una strada per fronteggiare l’emergenza, insieme ad aiuti economici. Si è trattata della prima visita di un capo di stato non africano nella capitale somala da quasi vent’anni.
I miliziani di al-Shabaab
In Somalia, l’arrivo degli aiuti e l’operato delle organizzazioni di soccorso internazionali è reso molto più difficile dall’instabilità del paese, che manca di un governo centrale da vent’anni ed è devastato dalla guerra civile. In proporzione, gli stati vicini come il Kenya e l’Etiopia stanno gestendo l’emergenza molto meglio rispetto alla Somalia.
Gran parte dell’area meridionale del paese è controllata da al-Shabaab (“la gioventù”), un gruppo di circa 15.000 miliziani musulmani integralisti nato nel 2006 dopo la dissoluzione dell’Unione delle Corti Islamiche. Al-Shabaab chiama alla “guerra santa” contro i nemici dell’Islam e combatte contro il debole Governo di Transizione Federale e contro la missione dell’Unione Africana nel paese.
Ai primi di agosto al-Shabaab si è ritirata da Mogadiscio, ma controlla ancora la regione circostante, rendendo difficile e pericoloso l’arrivo degli aiuti umanitari nelle zone colpite dalla carestia: il 19 agosto, l’ONU ha detto di non essere in grado di raggiungere circa 2,2 milioni di persone bisognose di aiuti che vivono nelle zone controllate da al-Shabaab.
I rifugiati
L’UNHCR, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati, ha presentato il 19 agosto una sezione del suo sito interamente dedicata all’emergenza somala. Negli ultimi mesi, dice l’UNHCR, hanno lasciato la Somalia più di 230.000 persone, oltre un terzo delle quali bambini e ragazzi. La maggior parte (118.000 persone) si è diretta in Kenia, mentre altre 100.000 si trovano ora in Etiopia. Il flusso migratorio si starebbe spostando, negli ultimi giorni, dai paesi africani che confinano con la Somalia allo Yemen, dove sono già arrivate via mare alcune migliaia di persone.