In Libia la guerra continua
I ribelli hanno trovato un palazzo a Tripoli dove forse si nasconde Gheddafi, i giornalisti italiani sono stati liberati e a Sirte si combatte ancora
Aggiornamento delle 18:00
L’emittente televisiva Al-Orouba controllata dai fedeli al regime ha da poco trasmesso un messaggio di Muammar Gheddafi. Il leader libico avrebbe detto che la Libia «appartiene ai libici e non agli stranieri» poi ha tirato fuori la solita retorica definendo «ratti» i ribelli e dicendo che saranno sconfitti duramente. Infine un messaggio alla popolazione: «Lasciate le vostre case e liberate Tripoli».
Aggiornamento delle 15:15
Un gruppo di ribelli, dice Reuters, sta combattendo in un isolato di Tripoli poco distante dal complesso di Muammar Gheddafi. Secondo loro il leader libico sarebbe nascosto in uno degli appartamenti della zona insieme ad alcuni dei suoi figli. All’interno di uno degli edifici ci sono stati diversi scontri a fuoco con le guardie fedeli al regime, cosa che potrebbe confermare la presenza di qualcuno di importante. La notizia non può essere confermata da altre fonti, ma i ribelli nella zona dicono che queste potrebbero essere le ultime ore da uomo libero di Gheddafi.
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I giornalisti italiani rapiti ieri in Libia sono liberi. Lo scrive il Corriere della Sera, secondo cui i quattro sono stati liberati da due giovani che “hanno fatto irruzione nella casa privata a Tripoli in cui erano prigionieri”. Il Corriere specifica che “non è ancora chiara la dinamica, anche se le fasi della liberazione sarebbero state concitate”. Ferruccio de Bortoli ha parlato con l’inviata Elisabetta Rosaspina, che ha detto di stare bene. Anche Domenico Quirico ha chiamato la sua redazione, quella della Stampa, dicendo di essere “vivo, vegeto e libero” e che “fino a un’ora fa pensavo di essere morto”. I quattro giornalisti erano stati rapiti ieri mentre erano a bordo di un’auto vicino a Zawiya, 30 km a ovest di Tripoli, e portati poi nella capitale.
Intanto la guerra in Libia si sta spostando verso Sirte, la città costiera circa 400 km a est di Tripoli, più o meno a metà della costa mediterranea libica. Gheddafi è nato nei pressi della città 69 anni fa, nella tribù araba di etnia berbera dei Qadhadhfa (da cui il suo cognome): la città è saldamente in mano ai fedeli al suo governo dall’inizio del conflitto, dato che le tribù della zona lo sostengono e loro membri hanno ricoperto ruoli di prima importanza durante il suo regime. I ribelli che avanzano verso Sirte sono rallentati dai bombardamenti di artiglieria pesante che provengono dalla zona, e da Sirte partono anche missili Scud diretti alla città di Misurata, ora in mano ai ribelli. Sirte è l’ultima città costiera a essere in mano alle forze del governo di Gheddafi, che mantengono anche diverse zone di resistenza nel sud del paese.
Oggi i combattimenti a Tripoli sembrano essere diminuiti di intensità rispetto a ieri, quando si combatteva ancora in diverse zone della città, ma gran parte dei residenti rimane chiusa in casa e il pericolo di cecchini appostati sui tetti dei palazzi è ancora molto alto. Le zone di Hadbha e Abu Salim nella capitale sarebbero ancora in mano ai soldati di Gheddafi. I principali avvenimenti della giornata di ieri sono stati la liberazione di diversi giornalisti stranieri chiusi da cinque giorni nell’hotel Rixos di Tripoli e l’annuncio di un’amnistia da parte del Consiglio Nazionale di Transizione, il governo provvisorio dei ribelli, per chiunque ucciderà Gheddafi, anche tra i suoi più stretti collaboratori, o aiuterà a consegnarlo vivo. Due uomini d’affari di Bengasi avrebbero offerto oltre un milione di euro per una taglia sulla testa del colonnello.
La NATO ha dichiarato di aver effettuato 48 raid aerei nella giornata di ieri. Un articolo del quotidiano britannico Telegraph ha rivelato che forze speciali dell’esercito britannico appartenenti al SAS (Special Air Service) sono nel paese e collaborano con i ribelli da “parecchie settimane”. In queste ore starebbero partecipando attivamente alla caccia a Gheddafi. Il ministro della difesa britannico Liam Fox non ha commentato la notizia.
Il fronte diplomatico
Rappresentanti diplomatici dei ribelli hanno iniziato in questi giorni visite in diversi paesi arabi e occidentali per chiedere denaro e aiuti per la ricostruzione. Gli Stati Uniti hanno presentato una bozza per il Consiglio di Sicurezza dell’ONU in cui si chiede che vengano sbloccati e consegnati al Consiglio Nazionale di Transizione parte dei 1,5 miliardi di dollari di fondi governativi libici all’estero, congelati dopo l’inizio del conflitto. Il Sudafrica ha però fermato questa proposta dicendo che è necessario che il nuovo governo dei ribelli venga riconosciuto ufficialmente anche dall’Unione Africana. Oggi il capo del governo dei ribelli, Mahmoud Jibril, dovrebbe incontrare il presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi a Milano.
La caccia a Gheddafi
Gheddafi, intanto, non si trova ancora. Ieri il Pentagono ha detto di ritenere che il dittatore si trovi ancora a Tripoli. La CNN elenca i luoghi dove si ipotizza che possa nascondersi Gheddafi: un sistema di bunker sotterranei sotto il suo complesso residenziale di Bab al-Azizya a Tripoli (che però è stato duramente colpito dai raid aerei NATO), una fattoria nei pressi dell’aeroporto della capitale, oppure un nascondiglio vicino al confine algerino, dato che l’Algeria è il paese che lo sostiene maggiormente tra quelli vicini alla Libia. Insieme all’Algeria, gli altri paesi dove potrebbe fuggire sono il Venezuela e il Chad. Gheddafi ha paura a volare per lunghe distanze sull’acqua, per cui è probabile una sua fuga via nave. La CNN ricorda il precedente di Saddam Hussein, che dopo l’invasione statunitense rimase nascosto per otto mesi vicino alla sua città natale di Tikrit: se Gheddafi decidesse di rimanere in Libia, potrebbe organizzare l’ultima resistenza a Sirte, dove è nato.
Secondo quanto ha detto l’ex direttore della Banca Centrale libica Farhat Bengdara al Corriere della Sera, Gheddafi starebbe cercando di vendere parte delle grandi riserve di oro libiche (dal valore di circa 160 miliardi di dollari) per trovare nuovi fondi e finanziare la resistenza ai ribelli. Bengdara, che in passato ha ricoperto ruoli importanti anche nel gruppo bancario UniCredit, era ancora direttore della banca centrale quando è fuggito in Turchia alla fine di febbraio ed è passato all’opposizione del regime di Gheddafi, iniziando a lavorare alla ricostruzione del sistema bancario del paese per il dopo-Gheddafi. Secondo quanto ha dichiarato, negli ultimi giorni prima di fuggire ha ritardato il più possibile il trasferimento di fondi del governo libico dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti verso paesi che non hanno aderito alle sanzioni internazionali.