Lo sciopero della fame di Anna Hazare
La protesta dell'attivista indiano contro la corruzione del sistema politico continua ed è sostenuta da migliaia di cittadini
L’attivista indiano Anna Hazare, giunto al nono giorno di sciopero della fame, ha annunciato alle migliaia di sostenitori che lo assistono in un parco a New Delhi che non ha nessuna intenzione di rinunciare alla sua battaglia per l’approvazione di leggi più severe contro la corruzione in India. «Ho perso solo sei chili e una parte del mio rene è malata, ma non c’è nulla di cui preoccuparsi. Finché il governo indiano non accetterà tutte le condizioni, la mia protesta non si fermerà, anche se dovessi morire» ha spiegato alla folla.
Il primo ministro indiano, Manmohan Singh, nel tentativo di porre fine alle proteste contro il governo, largamente appoggiate dalla classe media indiana, ha convocato in Parlamento tutte le parti politiche nel tentativo di trovare una soluzione alla crisi. I manifestanti, che per organizzarsi utilizzano anche i social network, nei giorni scorsi hanno protestato in diverse città e davanti al mausoleo del Mahatma Gandhi e alla Delhi University, il più grande ateneo del paese. La settimana scorsa è stato organizzato un sit-in pacifico davanti alla casa del ministro della scienza e tecnologia Kapil Sibal e al ministro degli esteri Pranab Mukherjee.
Dall’aprile scorso in India è in corso un dibattito sull’approvazione di una legge anti-corruzione chiamata “Lokpal Bill”, “legge a protezione della gente”, più volte proposta e approvata agli inizi di agosto. Anna Hazare, attivista di ispirazione gandhiana, ha quindi accusato il governo di aver ignorato le richieste degli attivisti che volevano includere il primo ministro e la magistratura nella sfera di competenza dei sorveglianti anticorruzione.
Hazare, che nei giorni scorsi è stato arrestato insieme a migliaia di manifestanti e poco dopo liberato, sta digiunando per indurre il Parlamento indiano ad approvare a breve la creazione della commissione, formata da rappresentanti del governo e da attivisti, che possa essere indipendente dalle influenze politiche e avere il potere di mettere sotto inchiesta le più alte cariche dello stato.
Negli ultimi mesi, la classe politica indiana è stata travolta da numerosi scandali, quasi sempre riconducibili a casi di corruzione. L’anno scorso la pubblicazione di alcune conversazione tra politici, giornalisti e industriali, ha restituito l’immagine di un paese dove tutto si può comprare, dalle prime pagine dei giornali a una sentenza della Corte suprema.
A novembre del 2010 il ministro per le telecomunicazioni Andimuthu Raja è finito in carcere per aver concesso illegalmente licenze per la telefonia mobile. Nello stesso periodo alcuni alti funzionari sono stati accusati di essersi appropriati di un palazzo di Mumbai costruito per ospitare le vedove della guerra. Un rapporto presentato dal governo ha denunciato ritardi e corruzione nell’organizzazione dei giochi del Commonwealth del 2010 a New Delhi.
Foreign Policy spiega perché la “classe media” indiana, che appoggia le proteste di Hazare, non si sente rappresentata dalla politica attuale. Secondo le stime più generose, la nuova borghesia indiana è ora composta da circa 300 milioni di persone. Troppo poche se messe a confronto con l’enorme numero di cittadini che vivono al di sotto della soglia di povertà e ancora molto distanti dalle ricche famiglie che formano da anni la classe dirigente del paese. Per questo motivo i partiti indiani non sembrano interessati a rappresentare gli interessi della classe media, privilegiando le fasce più povere della popolazione che costituiscono un bacino più ampio di possibili elettori.
Ma la situazione potrebbe presto cambiare. L’economia del paese sta crescendo di 8 punti percenutali ogni anno: il numero di chi ha un lavoro ben retribuito e un mutuo per comperare la casa sta aumentando sempre di più. Secondo le previsoni di McKinsey, entro il 2025 faranno parte della classe media 583 milioni di persone, circa il 41% della popolazione.