Il lungo viaggio verso Tripoli
L'avvincente racconto di Mimmo Cándito su come ha raggiunto la città per assistere agli ultimi giorni del regime
Sulla Stampa di oggi Mimmo Cándito, inviato di guerra di lunga data per il giornale di Torino, racconta come ha raggiunto Tripoli dopo un viaggio avventuroso e dopo molto deserto.
C’era un’aria strana, qui alle porte di Tripoli, quando ci sono arrivato nella notte nera come l’inferno, tra strade mute che nemmeno tiravo il naso fuori dall’auto di Ahmed. E poi certi angoli che sembrava Piedigrotta per il fottìo di gente che occupava ogni angolo e parlava, e gridava, e discuteva e si abbracciava e diceva che è finita. Che sia finita, io non ci giurerei affatto, perché non si spara solo per far festa, soprattutto quando sei in guerra e dovunque guardi vedi gente armata e facce che ti fanno paura.
Di quello che questa città ha vissuto nella giornata di ieri so ben poco, solo le due righe che ogni tanto acchiappavo dal mio «twitter» e che mi dicevano che si continuava a combattere, anche fin dentro il bunker di Gheddafi e che però Gheddafi ancora non lo hanno acchiappato. So ben poco perché ho passato l’intero tempo in un viaggio lungo e stressante per trovare un buco attraverso il quale passare la frontiera tunisina e infilarmi in Libia, e raggiungere finalmente Tripoli. Ed ero nelle mani di Mohammed, che è un autista mezzo matto ma ha un fiuto straordinario per saggiare la terra e capire quando forzare e quando lasciare. Avevamo cominciato a provare nel posto di frontiera di Ras Jedid, che pareva la soluzione migliore, con un bello stradone liscio e dritto che accompagna il mare a vista d’occhio e ti porta dalla Tunisia a Tripoli in una scorrazzata di 150 chilometri. Ma quando ci siamo arrivati, alla frontiera, i doganieri tunisini si sono messi a sghignazzare, dicendo a Mohammed che lui era pazzo del tutto se davvero pensava di farmici arrivare sano e salvo, a Tripoli, perché in quella parte della Libia ancora si combatte duramente, con sacche di resistenza che nessuno poteva dire quando sarebbero state abbattute.
Ci siamo guardati in faccia, Mohammed ha strizzato un attimo gli occhi, e allora via verso Sud. Sono stati quattrocento chilometri di strada dentro un mezzo deserto spelacchiato, senza fermarci se non per fare pipì, e a bocca asciutta perché Mohammed è un buon musulmano e rispetta il Ramadam. Ma alla fine siamo entrati nelle quattro casupole di mattone nudo che fanno Dhitab. Mohamed ha un cugino che vive in quelle casupole, «uno che ha buoni rapporti con i poliziotti libici, e vedrai che passi».