La protesta degli indios contro Evo Morales
Il presidente boliviano litiga da settimane con quelli che una volta erano i suoi maggiori sostenitori, gli indigeni, che lo accusano di ipocrisia
Il presidente della Bolivia, Evo Morales, è una delle personalità e leader mondiali più critici nei confronti del capitalismo e dei danni che questo provoca all’ambiente. Durante i meeting internazionali Morales ha chiesto ripetutamente che gli Stati si impegnassero nella difesa delle foreste e che i paesi più ricchi riducessero le emissioni prodotte dai gas serra. Molti gruppi di ambientalisti e di indigeni adesso però accusano il presidente di comportarsi in modo ipocrita, presentandosi all’estero come paladino dell’ambiente ma incoraggiando in patria politiche non rispettose dell’ecosistema. Lo accusano di promuovere lo sfruttamento del gas naturale e del petrolio nelle foreste vergini boliviane, di non preoccuparsi della contaminazione dell’acqua potabile e dei campi in prossimità delle miniere e non gli perdonano il sostegno a una legge per aumentare la coltivazione degli OGM.
Evo Morales – che è, tra l’altro, il primo premier indigeno della storia della Bolivia – ha sempre ribadito il suo impegno nel preservare la “madre terra” ma ha anche spiegato che certi progetti sono necessari per sollevare il paese dalla povertà, per aumentare la quantità di cibo disponibile e per garantire a tutti l’energia elettrica. Le sue spiegazioni non convincono gli ambientalisti e gli indigeni: questi ultimi erano stati i principali sostenitori della sua presidenza durante la campagna elettorale ma negli ultimi tempi si sono trasformati nei suoi oppositori più critici.
La più grossa protesta degli indigeni e degli ambientalisti contro Morales riguarda la costruzione di un’autostrada lunga più di 300 chilometri che attraverserà il paese per collegare il Brasile con alcune città portuali in Cile e in Perù affacciate sul Pacifico. La sua costruzione è stata finanziata da un fondo della banca nazionale brasiliana pari a 415 milioni di dollari, mentre la compagnia brasiliana OAS ha ottenuto l’autorizzazione a demolire gli alberi lungo il percorso. Secondo i manifestanti l’autostrada favorirà il commercio brasiliano, incrementerà la deforestazione e causerà un danno enorme all’ecosistema del paese. Inoltre l’autostrada attraverserà il Parco nazionale degli indigeni Isiboro-Secure, dove vivono circa 15.000 indios che si sostentano di caccia, pesca, e con la raccolta di frutti. I manifestanti hanno accusato il governo di essere venuto meno al dovere costituzionale di consultare gli indigeni prima di costruire qualcosa sulla terra in cui vivono e gli indios che vivono nel parco hanno detto di essere pronti a combattere con archi e frecce per impedire la costruzione della strada. Il governo ha risposto dicendo che l’autostrada è fondamentale per l’integrazione nazionale e ha garantito che verranno prese serie misure per la tutela ambientale.
Lunedì più di 500 persone hanno iniziato a Trinidad una marcia di protesta contro la costruzione dell’autostrada che si concluderà a La Paz tra circa un mese, il tempo necessario ai manifestanti per coprire a piedi i 500 chilometri che separano le due città. Pedro Vare, leader del gruppo indigeno CPIB, ha detto «non vogliamo dialogare, vogliamo che ci rispettino in quanto indigeni». Il presidente ha detto che è disposto a incontrare i manifestanti e a dialogare con loro ma che non ha intenzione di porre fine alla costruzione dell’autostrada. In coincidenza con l’inizio della marcia nella città di El Alto, abitata principalmente da indigeni, si è svolta una grossa manifestazione di protesta contro il governo mentre la città meridionale di Potosi è stata bloccata da uno sciopero generale per chiedere maggiori investimenti nell’economia locale.