Oggi è anche il Gwangbokjeol
In Corea si festeggia il giorno della liberazione dal dominio giapponese, avvenuto alla fine della Seconda guerra mondiale
Mentre dalle nostre parti oggi festeggiamo il Ferragosto, in Corea del Sud celebrano il Gwangbokjeol, il giorno dell’indipendenza dal controllo coloniale del Giappone. La festa viene celebrata anche nella Corea del Nord perché all’epoca della dominazione giapponese il paese non era ancora diviso in due diversi Stati. A Nord viene chiamato Jogukhaebangui nal ovvero “Giorno della liberazione della Patria”, mentre il sudcoreano Gwangbokjeol può essere tradotto con “Ritorno della luce del giorno”.
La festa coreana della liberazione si ricollega alla Giornata della Vittoria sul Giappone, Victory over Japan Day nei paesi anglosassoni, per ricordare il giorno in cui fu dato l’annuncio della resa giapponese nel pomeriggio del 15 agosto del 1945 (negli Stati Uniti era ancora il 14 per ragioni di fuso orario). La resa fu annunciata dall’imperatore Hirohito via radio e fu ufficializzata un paio di settimane dopo, il 2 settembre, sulla corazzata USS Missouri nella baia di Tokyo. Per questo motivo gli Stati Uniti celebrano il V-J Day il 2 di settembre, mentre altre forze all’epoca alleate come il Regno Unito fanno cadere la ricorrenza il 15 di agosto.
Durante il Gwangbokjeol vengono organizzate molte manifestazioni e iniziative nella Corea del Sud. Presso il monumento all’indipendenza della Corea di Cheonan il presidente sudcoreano partecipa a una cerimonia, mentre tutti i coreani sono invitati a esporre la bandiera della nazione fuori dalle finestre delle loro abitazioni. Palazzi e musei possono essere visitati gratuitamente dai discendenti di coloro che si batterono per l’indipendenza del paese dal controllo del Giappone. Il governo emette di solito anche alcune grazie nello spirito di festa e di rappacificazione della giornata. Ci sono spesso manifestazioni esplicitamente contro il Giappone, organizzate da veterani di guerra e parenti delle vittime del controllo coloniale, che possono portare tensioni, ma raramente problemi di ordine pubblico.
Un anno fa, il primo ministro giapponese Naoto Kan offrì ufficialmente le scuse del proprio governo e dell’intera nazione per quanto accaduto in Corea nel corso del periodo di occupazione. Kan si rivolse ai coreani per scusarsi degli «enormi danni e delle sofferenze causate negli anni della colonizzazione».
Sono passati più di sessant’anni dalla fine dell’occupazione giapponese in Corea, ma il ricordo delle angherie subite è ancora presente tra i coreani. Dal 1938 le autorità giapponesi misero ai lavori forzati circa 750.000 persone, per sostituire nelle fabbriche e nelle miniere del Giappone gli uomini partiti per il fronte. Il numero di coreani in Giappone superò i due milioni alla fine della guerra e si stima che quasi un terzo delle vittime di Hiroshima e Nagasaki fossero lavoratori forzati coreani. Lo scorso anno qui sul Post raccontammo le ragioni dell’occupazione giapponese.