De Bortoli contro la patrimoniale
Secondo il direttore del Corriere sarebbe una misura iniqua e pericolosa, oltre che di dubbia efficacia
Oggi sul Corriere della Sera il giornalista Massimo Mucchetti e il direttore del quotidiano, Ferruccio De Bortoli, discutono della proposta di inserire un’imposta patrimoniale, in discussione in questi giorni. Mucchetti è favorevole perché una simile imposta consentirebbe di ridurre rapidamente il debito pubblico e permetterebbe ai governi italiani – di oggi e di domani – di portare avanti una politica economica autonoma, invece che subalterna ai voleri della BCE e delle comprensibilmente preoccupate istituzioni europee. De Bortoli invece è contrario, e motiva così la sua opinione.
Caro Massimo,
accade raramente, ma questa volta non sono d’accordo con te e con i commentatori da te citati che il Corriere ha ospitato in questi mesi. È giusto che chi ha di più paghi di più. Non sono mai stato un amante della «flat tax», la tassa uguale per tutti. Il principio costituzionale della progressività delle imposte ha solide radici nella storia del diritto e nelle fondamenta dell’economia sociale di mercato. Ma l’imposta patrimoniale è spesso un espediente demagogico dagli effetti incerti e persino controproducenti. Senza ascoltare i consigli della Banca d’Italia, nel ’92, si impose nottetempo un prelievo straordinario del sei per mille sui depositi bancari. Al governo, come noto, c’era Amato. Il gettito fu sicuro e cospicuo, ma rappresentò un clamoroso tradimento della fiducia che i cittadini risparmiatori ponevano nelle banche e nello Stato. Uno strappo doloroso al tessuto di relazioni che tiene insieme una comunità nazionale. Se oggi facessimo qualcosa di analogo, senza la lira e con l’euro, avremmo conseguenze ancora più devastanti, proprio nel momento in cui si chiede a famiglie e imprese di sottoscrivere titoli di Stati e siamo alle prese con un crisi di stabilità e di credibilità degli istituti di credito. Quella imposta straordinaria del ’92 fu associata a un prelievo sugli immobili, sulla base dei redditi catastali, poi trasformatosi nell’attuale Ici. Le imposte patrimoniali una tantum funzionano soltanto, nella globalizzazione dei mercati, se fatte di sorpresa, quasi di rapina, altrimenti i capitali da tassare se ne vanno e, buona notte, ce la si prende solo con la casa, che l’80 per cento delle famiglie italiane possiede in proprietà e spesso è il bene esclusivo di una vita di lavoro e di risparmio. Non è giusto.