6 ragioni dei “riots” britannici
Non c'è una sola "colpa" e non è solo questione di fregarsi i televisori: ci sono scelte che si possono fare, in strada e nei governi
Gli elementi per capire quello che è successo a Londra e in altre città inglesi nei giorni scorsi sono diversi, e nessuno particolarmente nuovo. La possibilità di avvicinarsi a una vaga comprensione è però innanzitutto legata alla capacità di leggere il mondo a partire dall’idea che sono quasi sempre diversi e confusi i fattori e le variabili che lo spiegano, e di assumere che non esista una sola spiegazione, una sola “colpa”, un solo responsabile contro cui puntare il dito: limitarsi a constatare che i protagonisti delle violenze sono stati giovani teppisti in cerca di qualcosa da rubare è un po’ riduttivo per un evento di queste dimensioni. La possibilità di avvicinarsi a una vaga comprensione dipende dalla conoscenza profonda della società britannica e da una capacità di distribuire nelle giuste quote i seguenti contesti.
1. Il degrado sociale
Per il mondo fuori dalla Gran Bretagna è stato Ken Loach il più efficace narratore delle classi sociali disagiate inglesi in tempi recenti. Ma quello che vale per molti paesi dell’Occidente con sintomi simili e diversi – gli scontri delle banlieues francesi, la fame chimica di quelle italiane – nelle isole britanniche è nato presto (in ultima analisi è nipote della rivoluzione industriale, che viene da lì) e con dimensioni spaziali e sociali estesissime. La Gran Bretagna vive e racconta – dai tempi di Dickens – una separazione di classi ancora fortissima, e una condizione di disagio e degrado sociale peculiare e rilevantissima, a cui l’immigrazione prodotta dal grande impero britannico e dal successo economico ha dato un ulteriore speciale contributo.
2. I “riots” in Gran Bretagna
Strettamente legata al degrado sociale è la consuetudine storica con i “riots” – evento da noi anacronistico quanto le parole che dovrebbero tradurlo: “tumulti”, “sommosse” – di cui in questi giorni si stanno citando molti precedenti. La società inglese ha una solida tradizione di violenza. C’entrano anche una severità poliziesca maggiore di quella che conosciamo noi cattolici e permessivi, e una quota di tensioni razziali elevata a causa dello straordinario multiculturalismo urbano britannico. La violenza storica e proverbiale degli hooligans del calcio britannico ne è stato un altro sintomo. Altrettanto ricca di precedenti è la diffusione dei saccheggi durante i disordini di ogni genere, di cui si narra già intorno al grande incendio di Londra nel 1666.
3. I tagli statali
Piaccia o no ai commentatori di destra, una politica che non ritenga sua responsabilità l’attenuazione delle differenze di ricchezza e di classe, la creazione di opportunità per i più deboli e di posti di lavoro e occasioni di occupazione, e che tagli le sue spese sociali, è una politica che si dispone a ignorare un problema enorme, o a pensare di affrontarlo solo con cicliche repressioni. In molti avevano raccontato nelle settimane scorse di come la chiusura di diversi centri sociali giovanili a Tottenham avesse lasciato senza luoghi e attività molti giovani disoccupati del quartiere. Così come con i tagli di Margaret Thatcher negli anni Ottanta, le attuali politiche governative per affrontare la crisi hanno come vittime principali le classi più in difficoltà e con minori strumenti. Qualcuno può giudicarlo inevitabile, ma altrettanto inevitabile sarà che si creino le condizioni per quello che è successo in questi giorni.
4. La sfiducia nella legalità
I fattori di cui sopra hanno creato un tasso di illegalità e criminalità molto alto e una necessità di interventi polizieschi intensa e difficilissima, spesso molto violenta. I “tutori della legge” sono diventati un nemico per molte comunità degradate e la diffidenza tra gli uni e le altre e cresciuta a dismisura, con ricadute generali sul rispetto delle istituzioni e del prossimo che ha conosciuto estesa letteratura, culminata nel periodo punk. Quello che ha indignato gran parte dei cittadini britannici è stata la spietata indifferenza dei teppisti e saccheggiatori nei confronti di loro concittadini le cui vite, proprietà, risparmi e occupazioni sono state messe in pericolo. Ma è saltato qualcosa, da tempo, nella convivenza: e il declino dell’impegno culturale dello stato in questo senso (con gli accessori dei tagli anche alla polizia) non ha aiutato.
5. Il saccheggio consumistico
È molto di moda nei commenti delle ultime ore parlare di come il consumismo domini la cultura dei ribelli di questi giorni, così come quella del sistema a cui si ribellano. Non si ribellano a nessun sistema, infatti, vogliono solo cambiare ruolo nel medesimo sistema. Non attaccano istituzioni, edifici governativi, personaggi politici (hanno smesso subito anche di attaccare la polizia, se non ce n’era bisogno): attaccano i negozi e si portano via felpe e televisori. Basta non leggerlo come una novità: è il concetto del saccheggio, evoluto in società più ricche che non hanno bisogno del pane per cui si facevano i tumulti di una volta.
6. La ricerca di divertimento
Si è detto della novità tecnologica, invece: dell’uso della rete, e in particolare del Blackberry Messenger, per invitare ai saccheggi e diffonderne le coordinate. Non è una motivazione, ma come mezzo è sicuramente un amplificatore decisivo di quanto è successo. La motivazione però c’è, e riguarda i teenager di tutto il mondo che organizzano flash-mob più pacifici o si passano parola in rete di questo o quell’evento. L’adrenalina del partecipare, di qualcosa che sta succedendo, di un pericolo in cui mettersi: la stupida e rischiosa ricerca di divertimento dei teenagers, che ha alzato l’asticella in tempi in cui si alzano tutte le asticelle, il controllo familiare è più difficile e i modelli culturali di prudenza e rispetto assai in difficoltà rispetto ad altri. Con il concorso della promozione televisiva e mediatica di quello che succede. Quale che sia stata la reazione dei giovanissimi che hanno ricevuto i messaggi che annunciavano i saccheggi serali, nella maggior parte dei casi in italiano si tradurrebbe con “figata!”.