A che punto è la Siria
I mercati e Londra ci hanno distratto da una crisi ancora aperta: la repressione dell'esercito continua ma il governo di Damasco inizia a dividersi
In Siria la repressione del regime di Damasco contro la popolazione in rivolta continua nonostante le crescenti pressioni esterne. Oggi i carri armati dell’esercito hanno attaccato la città di Saraqeb, al confine con la Turchia: almeno cento persone sono state arrestate. Il governo turco aveva inviato il proprio ministro degli Esteri a Damasco lo scorso martedì per fare pressioni sul presidente siriano, ma l’incontro di sei ore con Bashar al-Assad non sembra avere prodotto nessun risultato. «La Siria continuerà a reprimere i gruppi terroristi che stanno cercando di dividere il paese», ha detto ieri Assad.
Nel frattempo la solidità del governo di Damasco inizia a vacillare, scrive il New York Times. Non ci sono ancora segnali di un collasso imminente, ma per la prima volta dall’inizio delle rivolte stanno emergendo profonde divisione tra alcuni dei più alti ufficiali del regime alauita, che non era mai stato così isolato negli ultimi quarant’anni. Quarantuno ufficiali del governo guidati dall’ex ministro Mohammed Salman hanno chiesto la fine della violenza e degli arresti da parte dell’esercito, un gesto che sarebbe sembrato impensabile solo fino a poche settimane fa. Ma i militari per il momento non si fermano. Oggi in rete è girato molto un video amatoriale che mostra i bombardamenti e il conseguente crollo del minareto della moschea di Dayr az Zor, una delle città nel nord della Siria dove nelle ultime settimane si è concentrata con più violenza la repressione del regime.
Il governo americano ha deciso di congelare gli asset della principale banca siriana e della società di telefonia mobile Syriatel, accusate di aver aiutato la Siria e la Corea del Nord a perseguire i loro programmi sugli armamenti nucleari. E secondo il New York Times il presidente Barack Obama dovrebbe chiedere a breve le dimissioni di Bashar al-Assad. Anche l’Unione Europea potrebbe decidere di fare un passo ulteriore sulle sanzioni contro la Siria e imporre l’embargo sulle esportazioni di petrolio e gas, che rappresentano una delle risorse più importanti del paese. Secondo le organizzazioni umanitarie, oltre duemila persone sono già state uccise dall’inizio delle proteste dello scorso marzo.