Continuano le proteste in Cile
Una nuova manifestazione studentesca ha portato in piazza decine di migliaia di persone, ma ci sono state di nuovo violenze e scontri
A cinque giorni di distanza dalla più violenta manifestazione avvenuta in Cile negli ultimi mesi, martedì decine di migliaia di studenti cileni sono scesi nuovamente nelle strade della capitale Santiago e delle altre principali città del paese per chiedere un sistema scolastico più equo e alla portata di tutti.
Insieme agli studenti hanno sfilato anche numerosi insegnanti e rappresentanti dei sindacati. Secondo i leader degli studenti, a Santiago hanno protestato 150.000 persone, mentre secondo il governo i manifestanti sarebbero stati tra i 70 e gli 80.000. La marcia è iniziata in modo pacifico: i manifestanti cantavano, ballavano e reggevano cartelli con slogan contrari alla violenza. A un certo punto però decine di gruppi di persone col volto coperto hanno cercato di forzare i cordoni della polizia schierati davanti al palazzo presidenziale. Hanno incendiato macchine, rotto vetrine di negozi e lanciato oggetti e pietre contro i poliziotti che hanno cercato di fermarli con idranti e gas lacrimogeni. Ci sono stati 273 arresti, di cui 73 a Santiago, mentre 16 manifestanti e 26 poliziotti sono rimasti feriti. La protesta è durata cinque ore e si è conclusa con alcuni manifestanti che sbattevano pentole e tegami, una misura di protesta diffusa ai tempi della dittatura di Augusto Pinochet.
Le manifestazioni sono iniziate due mesi fa quando studenti universitari e delle scuole superiori hanno deciso di abbandonare le lezioni e dato il via a una numerosa serie di marce, scioperi della fame, iniziative creative per chiedere una riforma radicale del sistema scolastico. Il movimento di protesta ha conquistato l’appoggio della maggior parte dei cileni – che secondo i sondaggi approva circa l’80 per cento delle richieste degli studenti – e ha fatto scendere il gradimento del presidente di centro-destra Sebastián Piñera al 26 per cento: Piñera è diventato così il presidente meno popolare dall’inizio della democrazia, nel 1990.
Uno dei principali motivi di protesta è l’indebitamento che le famiglie devono spesso affrontare per mandare i ragazzi all’università. Gran parte del costo dell’istruzione universitaria infatti è a carico delle famiglie: gli studenti che provengono dalla classe media devono spesso chiedere un prestito a una banca e in molti casi non riescono a ripagarlo una volta laureati. Il sistema fiscale inoltre favorisce le università private e non viene previsto alcun fondo per i comuni, che si devono occupare dell’educazione pubblica. Spesso la qualità dell’insegnamento publbico è carente tanto che le famiglie che se lo possono permettere preferiscono mandare i figli nelle scuole private o all’estero.
La scorsa settimana il governo ha proposto un piano di riforma in 21 punti che prevede, tra le altre cose, un aumento dei finanziamenti alla scuola pubblica, una più accurata formazione degli insegnanti, un aumento del numero delle borse di studio e un aiuto per pagare i debiti degli studenti. La misura è stata però considerata insufficiente dai leader degli studenti mentre il presidente del sindacato degli insegnanti Jaime Gajardo ha chiesto che le rivendicazioni degli studenti vengano messe alla prova con un referendum, una proposta che il governo ha definito incostituzionale e pericolosa.