Il generale iraniano che comanda in Iraq
Il Guardian racconta chi è Qassem Suleimani e perché a Baghdad non si fa niente senza il suo permesso
Il Guardian dedica un lungo profilo a Qassem Suleimani, il generale iraniano che secondo diverse fonti diplomatiche sarebbe l’uomo più potente dell’Iraq. «Non ci sono dubbi su questo», ha detto l’ex ministro della sicurezza irachena Mowaffak al-Rubaie. «Niente viene fatto senza che lui lo sappia». Finora, spiega il Guardian, pochi iracheni si erano azzardati a parlare dell’enigmatico generale iraniano e della sua influenza sulla politica di Baghdad, che si starebbe allargando sempre di più a tutto il Medio Oriente.
L’ascesa di Suleimani in Iran coincide con quella del regime degli ayatollah. Nel 2002, pochi mesi prima dell’inizio della guerra in Iraq, fu nominato capo della più prestigiosa unità militare iraniana, al-Quds, il cui compito principale è difendere la rivoluzione islamica. Le comunità sciite di tutta l’area mediorientale sono da anni in stretto con al-Quds, ma l’Iraq è stato più di ogni altro paese il principale campo d’azione di Suleimani. In gioco, spiega il Guardian, c’è niente meno che il destino del cuore della Penisola Arabica.
«Il suo potere viene direttamente dall’ayatollah Khamenei», dice uno dei tre vicepremier iracheni, Saleh al-Mutlaq. «Supera chiunque altro, anche il presidente Ahmadinejad. E tutte le persone più importanti dell’Iraq lo vanno a trovare, lo considerano una specie di angelo». Un altro membro del governo iracheno lo descrive come una persona dai modi molto educati e gentili. «È facile parlare con lui. Non ti accorgeresti che è così potente se non conoscessi il suo background. Il suo potere è assoluto e nessuno lo può mettere in discussione». Un ufficiale americano invece lo descrive così: «È come Keyser Soze dei Soliti Sospetti: è ovunque e da nessuna parte».
Secondo quanto raccontato dal vicepremier iracheno, Suleimani avrebbe partecipato anche al meeting del 2010 a Damasco in cui si decisero le sorti dell’attuale governo iracheno. «Costrinse tutti a cambiare idea e a dare a Maliki un secondo incarico da premier». Negli ultimi cinque anni tutti i più importanti membri del governo iracheno si sarebbero incontrati regolarmente con lui, spesso al confine tra i due paesi. Il capo di stato iracheno, Jalal Talabani, e il capo del governo Nuri al-Maliki hanno spesso colloqui con Suleimani, il cui coinvolgimento nelle attività politiche e militari è totale.
Il suo ruolo è tornato in evidenza negli ultimi mesi, con l’inizio della rivolta in Siria. Gli alauiti del presidente Assad sono un alleato fondamentale di Teheran e gli Stati Uniti hanno accusato le milizie di Suleimani di avere contribuito alla sanguinosa repressione che finora ha ucciso oltre 1600 civili. Nel frattempo il centro dell’attività di al-Quds rimane comunque l’Iraq, continua il Guardian.
Tutti i militari dell’esercito americano uccisi in Iraq a giugno, tranne due, sono stati uccisi dalle milizie che fanno capo a Suleimani. «È chiaro che i responsabili sono loro», ha detto il direttore dell’intelligence del ministro degli Interni iracheno, Hussein Kamal. «C’è stato un flusso sistematico di armi provenienti dall’Iran negli ultimi anni. Ovviamente loro cercano di dire che il governo non c’entra niente, ma quando le armi arrivano dal confine di uno stato sovrano è molto chiaro di chi è la responsabilità». Gli americani, che da anni stanno cercando di distruggere il lavoro delle sue milizie, dicono che vorrebbero incontrarlo. «Gli chiederei semplicemente che cosa vuole da noi», ha detto un ufficiale americano.
Nel 2008 gli Stati Uniti si sono impegnati a ritirare tutti i propri soldati dall’Iraq entro il 31 dicembre del 2011: dall’anno scorso nel paese non sono più presenti truppe da combattimento ma 50.000 soldati con il compito di addestrare le forze di sicurezza irachene e condurre alcune operazioni di intelligence e di antiterrorismo. In questi giorni i leader politici del paese si sono incontrati più volte per decidere se chiedere alle truppe statunitensi di fermarsi oltre il tempo stabilito dall’accordo. Il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki dovrà comunicare la decisione alla Casa Bianca entro agosto.