La crisi delle scarpe Masai
Dopo il boom degli anni scorsi ora crescono i dubbi sull'efficacia delle "scarpe basculanti" e le vendite calano
Negli anni ’80 Karl Muller, ingegnere svizzero, passeggiando sul terreno argilloso delle risaie della Corea, ebbe un’intuizione intercontinentale: riscoprire il segreto dei Masai, che camminano sulla sabbia e sono costretti a mantenersi in equilibrio ad ogni passo. Secondo gli studi di Muller camminare su un terreno morbido ed elastico migliora la postura, rilassa i muscoli e aiuta la circolazione. L’idea di Muller fu realizzata per la prima volta in Svizzera, dove le Mbt (Masai Barefoot Technology) sono in commercio dal 1996. Negli ultimi anni l’idea di una suola curva, con presunti effetti rimodellanti su glutei e cosce ha conquistato i produttori di scarpe di tutto il mondo e la storia dei masai ne è diventato il familiare ed efficace veicolo di comunicazione . È nata così la moda delle “toning shoes“, letteralmente “scarpe tonificanti”.
Negli ultimi anni c’è stato un vero e proprio boom, e le bizzarre scarpe da estimatori sono diventate presenti in tutti i negozi e imitate da moltissimi produttori: nel 2010 le vendite dei modelli dei marchi più famosi (Reebok, Skechers, Puma, New Balance, ma anche l’italiana Fila) sono aumentate del 400 per cento. Con un guadagno non indifferente, se consideriamo che il prezzo medio di un paio di scarpe basculanti si agira intorno ai 100-150 euro.
Ma, come riporta il Los Angeles Times, negli ultimi tempi le cose sono cambiate. Un crollo delle vendite ha comportato un ribasso del prezzo medio, da 200 a 50 dollari, con una perdita per i produttori di molti milioni di dollari. Le scarpe “tonificanti” infatti non offrirebbero secondo nuovi studi nessun reale beneficio. E un’organizzazione di consumatori americani afferma che sarebbero persino pericolose per caviglie e articolazioni. Nel gennaio 2011 la New Balance è stata accusata di pubblicità ingannevole: un gruppo di consumatori delusi dalle promesse non mantenute delle “toning shoes” si è organizzato in una class action che ha portato in tribunale la società americana. Il risarcimento richiesto è di 5 milioni di dollari.