Chi vince col vino
L'Italia ne produce più di tutti (sapete chi sono i primi sei?), ma la partita è un'altra
di Igor Principe
L’11 giugno 2011 le agenzie hanno battuto questa notizia: “L’Italia è il primo produttore di vino al mondo”. I dati di Coldiretti certificati dalla Commissione Europea dicono infatti che nel 2010 sono stati prodotti 49,6 milioni di ettolitri di vino, contro i 46,2 della Francia. Poiché quest’ultima nel 2009 era la prima al mondo, ne conseguono il sorpasso e la leadership italiana nel settore.
La produzione
I numeri sono in effetti quelli: produciamo più della Francia. Ma non è una novità: lo abbiamo già fatto e negli anni recenti. Uno sguardo ai dati dell’Oiv (l’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino, autorità planetaria per le statistiche dell’enologia) mostra con chiarezza il primato italiano nel 2007 (45,9 oentro 45,6 milioni) e in tutto il quadriennio 1991-1995 (60,7 contro 42,8). E pur se presentati ancora come provvisori, anche i dati del 2008 sono piuttosto netti: 48,6 contro 41,4. C’è quindi una certa abitudine dei produttori italiani a guidare una competizione che però sta mutando la propria fisionomia.
È infatti sempre l’Oiv a dirci che la produzione di vino nel mondo è “precipitata ai livelli del 1998 (263,8 milioni di ettolitri)”, e che mentre i primi quattro paesi (Italia, Francia, Spagna e Stati Uniti) diminuiscono le loro quote, altri le aumentano. Si tratta di nazioni ormai affermate nell’ambiente mondiale del vino: Argentina, Sudafrica e Cile. Ad esse si affianca un nome inatteso: la Cina. I più guardinghi sospetteranno contraffazioni, ma l’Oiv parla chiaro: Pechino è il sesto produttore al mondo (davanti all’Australia, ai citati Sudafrica e Cile e al Portogallo dei Vinhos Verde e Tintos, per non dir del Porto). A differenza dei primi quattro, che espiantano vigneti, la Cina ne pianta sempre di più.
La sovrapproduzione
Il punto è che il primato dell’Italia è diventato un problema. Un’altra certezza nel mondo del vino è infatti che da noi se ne beve sempre di meno: -6% a marzo del 2011 rispetto ad un anno prima (dati Ismea/Nielsen). In altre parole, significa sovrapproduzione: alla quale si può rimediare in vari modi. Uno, si diceva, è l’espianto dei vigneti, o il blocco a nuovi impianti: su quest’ultimo punto insiste molto, per esempio, il Consorzio di Tutela del Franciacorta, zona storica in Italia per la produzione di metodo classico (l’equivalente del metodo champenoise).
Un altro è la cosiddetta “distillazione di crisi”, un provvedimento con il quale le aziende sono autorizzate a convertire in distillati il vino in eccedenza. Un altro ancora è l’OCM (Organizzazione Comune di Mercato), strumento giuridico di matrice comunitaria che punta a equilibrare il rapporto tra domanda e offerta e a ridurre il surplus. Esiste una specifica OCM Vino che, in particolare, promuove ogni tipo di attività che incentivi l’esportazione.
I mercati esteri
È qui che le cose sembrano girare bene. Coldiretti parla di un +15% nel primo semestre del 2011, con cifre eccellenti per gli Stati Uniti (+31%) e il Giappone (+26%). L’Istituto per il Commercio Estero prevede che, nei 160 mercati in cui arrivano bottiglie italiane, la tendenza porterà ad un aumento complessivo del 50%. E giocando ancora contro la Francia, si intravede una nuova vittoria: l’Italia esporta 20 milioni di ettolitri, la Francia 13,5.
La reazione francese.
Però, alla fine, vincono loro. In tutto questo, infatti, i francesi mostrano due cifre. Quelle del fatturato: 6,3 miliardi di euro per loro, 3,9 per noi. Quasi il doppio, con una differenza di prezzo medio di 2,60 euro a bottiglia. Il motivo è semplice, e non riguarda tanto l’incidenza del loro export sul PIL (1,6% contro il nostro 1,2%), quanto quella regione nel nord-est della Francia nota come Champagne. È ancora l’ICE a sottolineare che, mentre nell’ambito dei vini fermi si esporta alla pari, in quello delle bollicine non c’è partita. Nella suddetta incidenza dell’export sul PIL, lo champagne conta per il 50%, lo spumante italiano per l’11%. E ancora: di champagne si esportano 350 milioni di bottiglie l’anno, di Franciacorta 8 milioni. È come se la Francia vendesse 350 milioni di Ferrari, l’Italia 8 milioni di Maserati. Una situazione che Paolo Massobrio (tra i maggiori giornalisti enogastronomici italiani) ha così sintetizzato sulla Stampa: «La festa per il primato quantitativo del vino somiglia un po’ alla soddisfazione dei cugini poveri, che non hanno ancora addentato veramente la sostanza».