I musulmani in Norvegia
Sono il 2% della popolazione, guardati con sospetto e peggio: alcuni di loro sono stati uccisi venerdì da Anders Breivik
A poche ore dall’esplosione della bomba nel centro di Oslo giornali e tv di tutto il mondo seguivano la pista dell’attentato islamico. Poi la strage dell’isola di Utøya e l’arresto di Anders Breivik hanno cambiato le cose e aperto un dibattito sulle precipitazioni giornalistiche di quelle ore. Ma quella successione di notizie ha preoccupato anche i membri della comunità musulmana norvegese: prima per la paura di ritorsioni per il presunto legame dell’attentato con Al Qaida, poi con il dolore per i morti. Circa 70 dei 600 partecipanti al campeggio estivo del partito laburista norvegese erano infatti di origine musulmana. Le autorità non hanno ancora comunicato quanti di loro siano stati uccisi.
Nel 2010 la comunità musulmana in Norvegia contava 99.000 membri, il 29% in più rispetto al 2005. La popolazione norvegese, secondo Statistics Norway, sta rapidamente raggiungendo i 5 milioni: quindi parliamo del 2% del totale. La storia dell’immigrazione musulmana in Norvegia ha radici lontane. I primi musulmani a migrare in Norvegia furono negli anni ’60 i pakistani, che sono ancora oggi una delle comunità più numerose dopo svedesi e polacchi. A Oslo la prima moschea venne costruita nel 1974. Ora nella città di Drammen, circa 63.000 abitanti a sud-ovest di Oslo, ce ne sono sette: tre pakistane, due turche, una somala e una afgana. Negli anni ’70 la Norvegia accolse i profughi del Vietnam e negli anni ’90 quelli della Bosnia. Con la guerra in Iraq, il numero dei musulmani in Iraq è aumentato ancora.
Le preoccupazioni causate dall’ultima ondata di migranti hanno favorito la crescita del “Partito Progressista”, un partito conservatore e con posizioni estremiste, che nelle ultime elezioni ha conquistato un quinto dei voti ed ora è il secondo gruppo parlamentare norvegese. Il partito, che aveva tra i suoi iscritti lo stesso Breivik, ha guadagnato consensi sfruttando le problematiche connesse all’immigrazione, proponendo di introdurre una politica più severa sugli ingressi.
I leader del partito Laburista, il partito di maggioranza norvegese, hanno dichiarato che l’ascesa dei gruppi di estrema destra in tutti i paesi scandinavi e la preoccupante diffusione nel paese delle idee sempre più nazionaliste del “Partito Progressista” sono tra i fattori che li hanno convinti a reclutare tra i partecipanti al campeggio estivo sull’isola anche molti figli di immigrati musulmani. Mercoledì scorso, appena pochi giorni prima della strage, Marte Michelet, editorialista di Dagbladet, era stata invitata sull’isola per parlare ai ragazzi di immigrazione e paura dell’Islam.
Il giorno della strage il suo fidanzato, Ali Esbati, un economista norvegese nato in Iran, si trovava a Utøya per tenere un discorso, quando ha sentito degli spari e un uomo che gridava “È tutto ok, è la polizia!”. La paura che, a causa del suo aspetto, la polizia avrebbe potuto fermarlo per identificarlo gli ha salvato la vita. Ali si è nascosto tra i cespugli e quando ha visto l’uomo che sparava sui ragazzi si è buttato nel lago e ha aspettato in acqua i soccorsi.
Breivik, nel lunghissimo testo pubblicato su internet prima della strage, dichiara di sentirsi “un crociato”, un cristiano pronto alla guerra per difendere il suo paese dalla presunta minaccia della dominazione marxista e islamica. È il delirio di un folle, ma ha riportato all’attualità il dibattito sui rischi dell’attività dei gruppi di estrema destra in Europa. Il fenomeno, come spiega il Wall Street Journal, ha colpito anche la penisola scandinava. In Finlandia il partito nazionalista “Veri Finlandesi” nato nel 1995 è diventato il terzo partito con il 19% dei voti e in Danimarca il gruppo di estrema destra “Partito del Popolo Danese” ha guadagnato il 13.8% dei voti nel 2007. Nelle ultime elezioni in Svezia il partito più conservatore ha avuto il 6% delle preferenze.