Che aria tira al Wall Street Journal?
Il comitato che controlla l'integrità del quotidiano di Murdoch dice che la correttezza del giornale non è in discussione ma lo scandalo sulle intercettazioni "poteva essere coperto meglio"
Quando NewsCorp – la società multinazionale di Rupert Murdoch – ha acquistato l’editore Dow Jones e il quotidiano Wall Street Journal, nel 2007, una delle condizioni dell’accordo prevedeva l’istituzione di un comitato speciale, composto da cinque persone e deputato a vigilare sull’integrità del giornale e della sua società editrice. Il comitato è oggi composto da Thomas Bray, ex giornalista del Detroit News; Louis Boccardi, ex capo di Associated Press; Jack Fuller, ex presidente della società editrice Tribune Publishing; Nicholas Negroponte, informatico e mito della tecnologia mondiale; Susan Phillips, ex preside della business school dell’Università George Washington. Ognuno di loro riceve un compenso di 100.000 dollari l’anno per tenere d’occhio gli standard di qualità ed etica del Wall Street Journal e della società Dow Jones. Di recente il comitato ha diffuso il suo primo rapporto, che arriva – non casualmente – nel momento più complicato per l’impero editoriale di Murdoch fin dalla sua fondazione.
Considerate le recenti rivelazioni sulle intercettazioni telefoniche e le violazioni di leggi e norme etiche occorse in alcune società di NewsCorp in Gran Bretagna, è legittimo che molti si siano chiesti e ci abbiano chiesto: che aria tira al Wall Street Journal? Fin dal suo insediamento, il comitato ha parlato con moltissimi dipendenti e dirigenti della società Dow Jones, rivedendo e aggiornando le procedure e i controlli. Ha parlato con ex impiegati, ha esaminato l’offerta giornalistica del quotidiano. Ha chiesto ripetutamente a ogni dipendente: qualcuno è solito fare pressioni politiche, ideologiche o commerciali per influenzare il tuo lavoro? La risposta della grande maggioranza delle persone interpellate è “no”.
Lo stesso Wall Street Journal ammette che il quotidiano è cambiato nello stile, nelle priorità e nei contenuti, da quando è proprietà di Murdoch, dicendo che si tratta di un fenomeno inevitabile a fronte dell’arrivo di un nuovo editore, e che vari esperti hanno già studiato e commentato. Si è discusso molto della presunta foxificazione del Wall Street Journal – la presunta tendenza ad aderire al modello aggressivo e politicizzato della rete Fox News di Murdoch – e se ne sono occupati soprattutto altri giornali, spesso rivali del Wall Street Journal. L’editorialista Joe Nocera ha scritto sul New York Times che “il Wall Street Journal si è trasformato in un veicolo della propaganda conservatrice”, mentre altri hanno raccontato l’evoluzione del Wall Street Journal in termini meno critici. Il Wall Street Journal aveva sempre tenuto una visibile distinzione tra le posizioni più nette e conservatrici delle sue pagine dei commenti ed editoriali e il più obiettivo distacco dei suoi articoli nel resto del giornale.
Il comitato dice oggi che nessun cambiamento ha intaccato la reputazione della società Dow Jones come fonte affidabile di informazioni e analisi e che soprattutto al Wall Street Journal non è accaduto niente di lontanamente paragonabile a quanto successo ai tabloid di Murdoch in Gran Bretagna. Però critica la redazione su una cosa: su come lo stesso scandalo di questi mesi è stato coperto, specialmente nei suoi primi sviluppi. Il Wall Street Journal “avrebbe potuto fare un lavoro migliore” in una recente intervista a Rupert Murdoch, sottoponendolo a “domande più impegnative”, dice il comitato. I cinque aggiungono che il quotidiano è stato più lento di quanto avrebbe dovuto nell’occuparsi delle prime fasi dello scandalo, seppure ribadiscono di non vedere una strategia generale di mistificazione o favoreggiamento del proprio editore.
foto: PAUL J. RICHARDS/AFP/Getty Images