Perché il Giappone non rinuncerà al nucleare
Il primo ministro vuole puntare sulle rinnovabili, ma secondo Foreign Policy la sua proposta resterà lettera morta
La settimana scorsa il primo ministro giapponese Naoto Kan si è schierato a sorpresa contro il nucleare, dicendo che il Giappone dovrebbe metterlo da parte al più presto e puntare sulle energie rinnovabili. L’uscita ha avuto una grossa risonanza, vista l’arcinota dipendenza del Giappone dall’energia atomica e visto il dibattito che si è prodotto nel paese all’indomani del terremoto e dello tsunami che hanno danneggiato la centrale nucleare di Fukushima. Eppure per molti analisti quella di Kan resterà lettera morta. Foreign Policy spiega perché.
Prima di Fukushima, il Giappone era uno dei paesi più legati all’energia nucleare, con circa il trenta percento della propria energia elettrica proveniente dai reattori atomici. Il disastro di Fukushima ha cambiato questo scenario. Oggettivamente non si è trattato di un cataclisma, se confrontato con il disastro Bhopal o con il numero di morti per cancro e malattie polmonari collegate all’inquinamento industriale degli anni Sessanta. Ma gli incidenti che hanno a che fare con le centrali atomiche hanno un impatto psicologico più elevato e sproporzionato rispetto all’entità dei danni effettivamente prodotti. Se Fukushima fosse stata una centrale chimica e la sua distruzione avesse provocato la morte di migliaia di persone, nessuno avrebbe chiesto l’abolizione dell’industria chimica giapponese.
Nonostante questo, continua FP, sarà difficile che il Giappone possa davvero fare a meno del nucleare. In parte perché il movimento anti-nucleare è ancora troppo debole. Soltanto poche città giapponesi hanno ospitato manifestazioni contro il nucleare all’indomani di Fukushima e il numero di partecipanti non è mai stato particolarmente alto. E in parte perché il governo giapponese non ha al momento grossa forza né credibilità per imporre un cambiamento così drastico.
Il premier Kan è di fatto un’anatra zoppa, avendo già promesso di dare le dimissioni in autunno o comunque una volta stabilizzata la precaria situazione del paese a seguito del terremoto e dello tsunami dello scorso gennaio. E i suoi ministri godono di scarsissima popolarità. Inoltre, se Fukushima ha avuto un grossissimo impatto soprattutto all’estero – la Germania ha deciso di cambiare la sua politica sull’energia nucleare proprio in seguito all’incidente in Giappone – nel paese le persone sono più interessate ai temi di pensioni, sanità e tasse.
Infine, potrebbe semplicemente non essere possibile per il Giappone un futuro senza il nucleare. E infatti nessuno finora ha detto esattamente che cosa significherebbe, certamente non Kan. Significherebbe la chiusura in tempi brevi di tutti i reattori? O un piano di dismissione in 10, 20 o 30 anni? O forse significherebbe semplicemente costruirne di nuovi? Vuole davvero il Giappone importare ancora più petrolio e gas da paesi politicamente instabili?