Le proteste in Siria non si fermano
Migliaia di persone anche a Damasco, ma l'esercito continua a sparare: quattordici morti oggi
Le forze di sicurezza del governo siriano hanno ucciso quattordici persone negli scontri seguiti alle proteste di oggi in tutto il paese. Migliaia di persone sono scese in piazza a Damasco, Deera, Homs, Hama e molti altri centri minori in quella che gli organizzatori hanno definito la più grande manifestazione contro il regime dall’inizio delle proteste di marzo. Sette persone sono morte a Damasco, tre a Idlib, nella Siria nord-occidentale, tre a Homs e una a Deera. Gli attivisti sostengono che la repressione ha già causato la morte di 1600 persone, mentre il governo continua a dare la colpa a presunte «cospirazioni straniere».
«Il numero dei manifestanti di oggi a Damasco dimostra che la rivolta sta guadagnando forza settimana dopo settimana» ha detto a Reuters l’attivista Mustafa Osso. Damasco finora aveva svolto un ruolo marginale nelle proteste, che si erano concentrate inizialmente nella città meridionale di Deera e poi nei centri di Homs e Hama, dove oggi si è tenuta la manifestazione più grande. Alcuni testimoni hanno raccontato che molte persone dei villaggi vicini si sono unite alla protesta in città, dove ormai iniziano a scarseggiare cibo e medicine a causa dell’assedio dell’esercito. L’opposizione siriana ha dedicato la manifestazione di oggi alle decine di migliaia di persone detenute dall’inizio della rivolta, che ormai sarebbero circa quindicimila.
Nei giorni scorsi il governo americano si era espresso per la prima volta in favore di un cambio di regime a Damasco. Il segretario di stato americano Hillary Clinton ha detto che il presidente siriano Assad ha ormai perso «legittimità» perché non ha risposto alle richieste della popolazione. Il Wall Street Journal scrive che gli Stati Uniti sono molto interessati a un cambiamento che potrebbe riscrivere gli equilibri geopolitici dell’area. Assad è stato un alleato prezioso del regime iraniano degli ayatollah negli ultimi anni e ha aiutato Teheran a rafforzare la sua influenza in Libano e in Palestina finanziando Hezbollah e Hamas.