Le finte vaccinazioni per rintracciare Bin Laden
La CIA pagò un medico locale per farle ad Abbottabad, nella speranza di ottenere il DNA del leader di al Qaida
Nella notte tra l’1 e il 2 maggio un blitz dei Navy Seals statunitensi ad Abbottabad, in Pakistan, ha portato all’uccisione di Osama Bin Laden. Da allora sono stati resi pubblici molti retroscena e molte informazioni su come è stata preparata l’azione militare: l’ultima in ordine di tempo è un’inchiesta del quotidiano britannico Guardian, che ha svelato come, nelle settimane precedenti al blitz, un medico pakistano finanziato dalla CIA abbia organizzato un finto programma di vaccinazioni ad Abbottabad, tentando di ottenere il DNA di un membro della famiglia Bin Laden residente nel complesso dove si sospettava che si nascondesse il capo di al Qaida, e avere così prove sicure della sua presenza all’interno.
La CIA riuscì ad arrivare al complesso in una delle zone più ricche di Abbottabad seguendo un corriere di al Qaida, conosciuto come Abu Ahmad al-Kuwaiti, nell’estate del 2010. I servizi segreti iniziarono a mettere sotto osservazione la grande residenza fortificata, che si trova circa sessanta chilometri a nord della capitale pakistana Islamabad, via satellite e da una casa utilizzata dalla CIA nella stessa Abbottabad, ma prima di organizzare un’operazione militare volevano avere l’assoluta certezza che all’interno della casa a tre piani si trovasse proprio il capo di al Qaida.
I servizi segreti statunitensi possedevano già il DNA di un familiare di Bin Laden, una figlia morta a Boston nel 2010. Sarebbe bastato il confronto tra quel DNA e quello di uno dei suoi figli, che si sospettava vivessero con lui nella città pakistana. Ottenere il DNA degli abitanti del complesso, però, non sembrava facile. Tra i pochi esterni a cui era stato permesso l’ingresso c’erano alcuni operatori sanitari che avevano somministrato ai bambini rimedi contro la poliomielite. La CIA avvicinò allora Shakil Afridi, uno dei medici dirigenti del settore sanitario nella provincia pakistana di Khyber, al cui interno si trova anche la città di Abbottabad. A marzo il medico si recò nella città e disse di voler iniziare un programma di vaccinazione contro l’epatite B per cui aveva trovato finanziamenti. Pagò diversi funzionari del governo locale per lavorare al progetto, che collaborarono senza sapere nulla delle ricerche su Bin Laden.
Afridi fece affiggere poster sul programma sanitario gratuito per la città, che pubblicizzavano un vaccino prodotto dalla Amson, una ditta con sede nei pressi di Islamabad. E il finto programma iniziò sul serio, a marzo 2011. Per non destare sospetti, partì da un sobborgo povero di Abbottabad, Nawa Sher. Dopo un mese però, invece di rimanere nel sobborgo per somministrare la seconda delle tre dosi necessarie per il vaccino, Afridi trasferì gli infermieri nel quartiere ricco di Bilal, dove si trovava la casa di Bin Laden.
Stando a quanto riporta il Guardian, un infermiere di nome Mukhtar Bibi riuscì a entrare nella residenza per somministrare i vaccini. Il dottor Afridi aspettava fuori, ma fornì però all’infermiere una borsa con all’interno un non specificato “apparecchio elettronico”. Non è chiaro se l’ignaro Mukhtar Bibi riuscì a ottenere il DNA di un familiare di Bin Laden e lasciò la borsa all’interno, né in che modo gli infermieri fossero stati istruiti per ottenere e conservare sangue o altro da cui fosse possibile estrarre il codice genetico, ma molte fonti avrebbero detto al quotidiano inglese che il tentativo fallì.
Nei giorni successivi al raid che uccise Bin Laden, i servizi segreti pakistani (ISI) scoprirono il finto programma di vaccinazione di Afridi e i suoi collegamenti con la CIA: il medico venne arrestato e, tra le molte persone che collaborarono con gli Stati Uniti nell’organizzazione del blitz delle forze speciali, sarebbe attualmente l’unica persona ancora in carcere. La sua detenzione è l’ennesimo episodio che testimonia della tensione tra il Pakistan e gli Stati Uniti: il primo ha visto il raid militare come una violazione della sua sovranità nazionale, mentre i secondi si chiedono come sia possibile che un alleato nella war on terror non si fosse accorto che il capo di al Qaida viveva nel suo territorio nazionale da diversi anni.
Nelle ultime settimane starebbero emergendo sempre nuove prove dei collegamenti più o meno diretti di Osama Bin Laden con l’intelligence pakistana, e gli Stati Uniti hanno deciso di tagliare i finanziamenti al Pakistan di diverse centinaia di milioni di dollari.
Secondo l’opinione di un’operatrice sanitaria, Alanna Shaikh, pubblicata su Foreign Policy, la vicenda delle finte vaccinazioni è stata un grave errore da parte della CIA e degli Stati Uniti. Utilizzare la medicina per scopi di intelligence, e in definitiva non per curare veramente le persone, fa arrabbiare per prima cosa i medici di tutti i paesi (che infatti hanno commentato molto duramente). E in Pakistan l’epatite B è un problema serio: interrompere il programma nel sobborgo povero di Nawa Sher dopo solo una delle tre dosi previste ha dato pochissima protezione dalla malattia a bambini che ne avevano (e ne hanno) realmente bisogno.
Inoltre, è possibile che nel prossimo futuro la gente sia ancora più diffidente verso simili campagne di vaccinazione, dato il precedente in cui sono stati coinvolti i servizi segreti degli Stati Uniti. Già in passato gli operatori sanitari non hanno avuto vita facile, nel mondo musulmano. Nel 2007, ricorda Foreign Policy, medici e infermieri stranieri poterono operare in Afghanistan solo dopo che i talebani rilasciarono loro una lettera che li autorizzava formalmente. In precedenza, correvano costantemente il rischio di essere picchiati quando arrivavano nei villaggi, con l’accusa di essere spie.
All’opposto, la fiducia cieca della popolazione nei confronti dei medici è già stata utilizzata in passato dai governi per i propri fini, come quando nel 2008 l’esercito colombiano travestì da operatori della Croce Rossa i militari impegnati in un’operazione di salvataggio di persone tenute in ostaggio dalle FARC: ma questi metodi, secondo Shaikh, sono sempre da condannare.
foto: SHAH MARAI/AFP/Getty Images