La crisi del Belgio ci riguarda
Secondo lo Spiegel le prolungate difficoltà politiche del paese senza governo da un anno diventeranno un altro problema per l'euro
Da tredici mesi il Belgio è in attesa che valloni e fiamminghi si mettano d’accordo per formare un nuovo governo, e la storia è diventata ormai nota e persino derisa in tutto il mondo. Il risultato elettorale a metà giugno 2010 ha portato a una interminabile fase di stallo istituzionale che mediatori, politici e politologi non sono ancora riusciti a superare: nel nord hanno vinto gli autonomisti della Nuova Alleanza Fiamminga (Nieuw-Vlaamse Alliantie, N-VA) di Bart De Wever, mentre il sud ha visto l’affermazione dei francofoni del Partito Socialista guidato da Elio Di Rupo. I due partiti non riescono a mettersi d’accordo e si discute molto da tempo se il Belgio ne rischi la scissione o se questo trascinarsi non dimostri la forza di un paese nel sapersi autogovernare. Ma secondo il tedesco Spiegel, il perdurare dell’incertezza politica rischia invece di trascinare anche il Belgio nella crisi economica dell’euro.
Il vuoto di potere politico continua da più di un anno e il Belgio è rimasto senza un governo per un periodo più lungo di qualsiasi altro paese nel mondo. Persino in Iraq, con i suoi tre distinti gruppi etnici, non c’è voluto così tanto tempo per formare un governo. L’attuale ministro delle finanze del Belgio [che si occupa dell’ordinaria amministrazione come gli altri ministri del governo uscente in attesa di quello nuovo, ndr], Didier Reynders, ha ricordato scherzosamente che almeno i partiti politici di Bagdad parlavano tra loro durante la fase di transizione democratica. In Belgio, invece, i due principali partiti non si parlano.
I partiti fiamminghi, a partire da quello di De Wever, vogliono l’approvazione di molte riforme dello Stato prima di scendere a compromessi e formare un nuovo governo. Le richieste dei partiti sono la dimostrazione della crisi sempre più grande che sta interessando il paese, con una divisione marcata tra nord e sud non solo dal punto di vista politico, ma anche da quello culturale, linguistico ed economico. Per i fiamminghi la parte francese è un ostacolo al loro sviluppo perché è una zona più povera e arretrata.
Il Belgio stesso, osservano sullo Spiegel, è stato storicamente il frutto di una alchimia artificiale che ora rischia di dissolversi. «Maestà, non esistono i belgi» disse una volta Jules Destrée, un eminente socialista vallone, al sovrano del paese. Secondo De Wever, che non ha mai nascosto le proprie convinzioni separatiste, il Belgio è un esperimento ormai fallito e senza futuro. Questa idea è condivisa da buona parte della comunità fiamminga, stanca di dover aiutare la parte francofona più povera del paese. De Wever chiede massima autonomia per i fiamminghi, mentre Di Rupo preferirebbe mantenere l’attuale status quo, apportando solo alcuni aggiustamenti all’assetto istituzionale del paese.
Oppositori e numerosi osservatori politici accusano De Wever di essere intransigente e di non accettare strumentalmente le proposte per formare un nuovo governo così da indebolire ulteriormente il paese, rendendo più semplice o almeno probabile la divisione del Belgio. La scorsa settimana, Di Rupo ha presentato una nuova proposta per la formazione di un governo, seguendo la richiesta del re Alberto II, accogliendo diverse richieste di De Wever e proponendo la divisione del collegio elettorale di Bruxelles, unica area in cui i partiti fiamminghi e francofoni competono direttamente. La proposta è stata respinta da De Wever, complicando ulteriormente la crisi politica nel paese.
La perdurante incertezza sta condizionando anche le sorti economiche del Belgio. I dubbi su chi governerà il paese e sulla possibilità stessa che il Belgio non si dissolva in entità più piccole non piace ai mercati e nemmeno alle agenzie di rating, che hanno rivisto la valutazione sull’economia del paese da “stabile” a “negativa”. L’attuale ministro delle finanze e vice primo ministro Didier Reynders teme che ci possa essere un abbassamento del rating del Belgio, con conseguenze difficili per la sua economia già in affanno.
Secondo Reynders nuove elezioni non risolverebbero il problema perché porterebbero alle stesse divisioni politiche dell’ultimo anno, con ulteriore incertezza sul fronte economico. Senza una guida chiara, il Belgio potrebbe essere risucchiato nella crisi dell’euro, con conseguenze gravi per la stabilità della moneta unica già messa a dura prova. I conti del paese lasciano qualche preoccupazione, specialmente per quanto riguarda il debito pubblico che è pari a quasi il 96 per cento del prodotto interno lordo.
Il governo uscente spera di ottenere dal re Alberto II e dal parlamento l’incarico di progettare un piano di riforme e di provvedimenti per la manovra finanziaria del 2012, che andrà discussa a partire da fine estate. Formalmente il governo uscente dovrebbe occuparsi della sola amministrazione ordinaria, ma dopo un anno senza nuovo esecutivo le istituzioni si sono dovute adattare a qualche strappo alle regole. Il parlamento ha, per esempio, approvato la partecipazione alla missione militare della NATO in Libia dando il via libera al governo uscente.