Così non si va avanti
La questione dei costi della politica ha superato la soglia dell'ingiustizia: è diventata una grossa parte del problema
Leggendo l’articolo del Wall Street Journal che con toni tra il pittoresco e l’assurdo descriveva ieri i costi vari e accessori del lavoro del nostro parlamento, quella tipica diffidenza che investe chi legga gli spesso superficiali e macchiettistici report dall’Italia della stampa straniera veniva infine battuta da due considerazioni schiaccianti.
La prima è che ormai, a quella macchietta lì, somigliamo ogni giorno di più. Ogni giorno che passa il nostro PresdelCons si avvicina all’impresentabile e misteriosa figura di pagliaccio che è stata spesso rappresentata sbrigativamente in spregio a ogni approfondimento sulla complessità dei problemi italiani e a come ci si è arrivati. Ogni giorno che passa diventa più difficile spiegare a noi stessi – prima ancora che agli stranieri – come ci siamo cacciati in questa situazione di mediocrità tanto estesa delle nostre classi dirigenti e perché sia così difficile uscirne. Ogni giorno che passa la distanza tra quello che l’Italia mostra di sé, il suo impoverimento economico e culturale, i rischi che corre da una parte, e l’allegro e rassegnato disincanto con cui tira avanti dall’altra, suona più difficile da leggere obiettivamente. Ogni giorno che passa ci sentiamo meno italiani che vengono guardati e giudicati, e più stranieri che guardano e giudicano una cosa che non riescono più a riconoscere.
La seconda considerazione a favore di prendere sul serio la meraviglia anglosassone per quel che spendono le nostre istituzioni per se stesse, è che questo comincia a essere percepito non più solo come un fatto di morale, giustizia, rispetto, misura, che pure non è poco. Ma come un problema concreto, un ostacolo, un capofamiglia che arrivi a casa una sera e con i conti in mano dica “così non ce la facciamo”. Sono soldi buttati via in tempi in cui mancano.
Oggi ne scrive Angelo Panebianco sul Corriere della Sera.
I costi documentati sono peraltro solo la punta dell’iceberg. I dati precisi non sono facilmente reperibili ma è certo che il numero di coloro che in Italia vivono «di politica» (la cui fonte di reddito, cioè, deriva, direttamente o indirettamente, dalla politica) è enormemente cresciuto negli ultimi venti anni: c’è chi pensa che sia addirittura quadruplicato o quintuplicato. Non è affatto solo una questione di auto blu e di stipendi di rappresentanti eletti (che sono le cose che maggiormente colpiscono il cittadino). C’è molto, molto di più. Là fuori c’è un vero e proprio esercito, con famiglie a carico, di quelli che potremmo definire «professionisti politici occulti», persone che campano grazie al fatto che la politica (i partiti) li ha piazzati – a livello nazionale, regionale, locale – in consigli di amministrazione, all’interno di società pubbliche, e ovunque essa potesse allungare le mani. Persone che sono in quei posti, per lo più, non per le loro competenze ma per i loro legami politici.
Panebianco elenca una solidissima serie di impedimenti ad affrontare il problema, e mette sotto accusa anche un atteggiamento ondivago dei cittadini, facili a indignarsi, ma poi poco pronti a sostenere le occasioni concrete di alleggerimento dei costi pubblici. Il punto è che è venuto davvero il momento di superare l’approccio demagogico ed emotivo della questione – prioritario per esempio nella benintenzionata proposta di Paolo Flores D’Arcais, che davanti a buoni propositi pratici ci tiene però ancora a parlare di “casta” e “disprezzo”, eccetera – e passare alla concretezza fattiva. Le opposizioni devono dimostrare di sapersi distinguere anche in questo e soprattutto in questo non solo nei comportamenti propri – e c’è ancora molto da fare – ma anche nell’esercizio progettuale del proprio ruolo e nella costruzione di una proposta estesa e radicale, altro che auto blu e buvette. La facciano, la sostengano con forza – a cominciare dalla famigerata e trattenuta “proposta” sulle province del PD – e abbiano come obiettivo non la sua esibizione populista ma la sua realizzazione. I primi che riescono a riformare i costi della politica e dell’amministrazione italiana avranno fatto una rivoluzione: sarebbe abbastanza di cui vantarsi.