La mafia russa in Italia
L'affascinante e inquietante ricerca di Federico Varese sulle "migrazioni" delle criminalità organizzate
di Federico Varese
Solncevo è un modesto quartiere operaio nella zona sudoccidentale di Mosca, al di fuori del mkad, la grande circonvallazione autostradale che circonda la città. Gli abitanti del centro non si avventurerebbero mai in questa zona depressa dell’estrema periferia e molti pensano che non faccia nemmeno parte della capitale russa. Il viaggiatore che, malgrado tutto, volesse visitare Solncevo dovrebbe trascorrere non meno di un’ora sulla linea arancione della metropolitana che parte dal centro e poi, arrivato al capolinea, trasbordare su un autobus urbano. Un tempo si trovavano nella zona delle belle dacie, prima che le autorità sovietiche decidessero di costruirvi schiere di anonimi palazzoni. Forse perché i grattacieli oscurano il sole, al momento della sua fondazione ufficiale – nel 1938 – il quartiere fu chiamato con la parola russa che significa sole (solnce). Come spesso accade con certi appellativi, questa allusione «solare» non si addice per nulla all’ambiente circostante.
Solncevo è anche il nome di quella che è forse l’organizzazione criminale più potente nata dalle ceneri dell’Unione Sovietica, detta anche «fratellanza di Solncevo» (Solncevskaja bratva). Il fondatore sarebbe Sergej Michailov, oggi stimato uomo d’affari noto per le sue opere di beneficenza a favore della Chiesa ortodossa. Le foto più recenti lo ritraggono in giacca di tweed e cravatta, rasato e pettinato in modo impeccabile, mentre fissa l’obiettivo con uno sguardo penetrante e allo stesso tempo interrogativo. Nato in una famiglia operaia nel febbraio 1958 e cresciuto a Solncevo, Sergej comincia a lavorare come maître d’hotel nel prestigioso albergo della nomenklatura, il Sovetsky, mentre continua a coltivare la sua passione per la lotta. Nel 1984 viene condannato per aver frodato l’assicurazione (simula il furto della propria motocicletta) e trascorre diversi mesi in carcere. Condannato con la condizionale, torna a Solncevo dove apre club e organizzazioni sportive in cui recluta i giovani lottatori violenti e disoccupati. Insieme a un compagno di cella, Viktor Averin, dà vita a una banda, che chiama con il nome del suo quartiere.
È solo con l’arrivo della nuova libertà postsovietica che la Solncevo comincia a crescere. Per difendersi dagli attacchi di una gang di ceceni, nel 1989 l’organizzazione si fonde con la Orechovskaja, un gruppo anche in questo caso composto principalmente da sportivi e lottatori, e capeggiato da Sergej Timofeev, soprannominato «Sil’vestr» (da Sylvester Stallone) per via dei suoi muscoli. Così rafforzata, la Solncevo diventa, verso la metà degli anni Novanta, una protagonista del «selvaggio Est». Un rapporto dell’Fbi del 1995 la descrive come l’organizzazione criminale eurasiatica più potente del mondo quanto a patrimonio, influenza e controllo di risorse finanziarie. La sua attività principale è la protezione, quella che in russo viene chiamata «fornire un tetto» (delat’ kry∫u). Secondo alcune stime, forse esagerate, l’organizzazione conterebbe dai 5000 ai 9000 affiliati. Il gruppo è costituito da almeno dieci brigate (brigady) che operano sotto il nome collettivo di Solncevo. La polizia russa ritiene che l’organizzazione controlli diverse banche e un centinaio di piccole e medie imprese. Benché si sappia pochissimo dei meccanismi interni al gruppo, alcuni ex affiliati hanno dichiarato che esso è governato da un consiglio di dodici persone che si incontrano regolarmente in diverse parti del mondo in occasione di feste e matrimoni, mascherando in questo modo la vera ragione degli incontri. La Solncevo dispone di un fondo comune (ob∫TMak), il quale viene reinvestito nell’economia legale attraverso numerose banche che lavorano per l’organizzazione. A un certo punto della sua storia, questa mafia fa la sua comparsa in Italia.
La Solncevo in Italia
Fano è un’antica cittadina marchigiana che si affaccia sull’Adriatico, a qualche chilometro dalle più note Pesaro e Urbino. I cultori di storia rinascimentale ricordano che venne invasa da Cesare Borgia, l’uomo che tentò di creare uno stato tutto suo nell’Italia centrale del xv secolo, famoso per aver ispirato a Machiavelli la figura del Principe. La città subisce pesanti bombardamenti alleati durante la Seconda guerra mondiale, mentre i nazisti ne distruggono torri e ponti storici (la Linea gotica si ferma qui). In una tipica giornata estiva, il centro della città si popola di tavolini all’aperto e villeggianti che fanno la spola con la vicina spiaggia. Oltre al turismo e alla pesca, abbondano le aziende a conduzione familiare che producono calzature, maglieria, mobili e articoli casalinghi per i grandi marchi europei. I docenti della vicina università sostengono che la zona è caratterizzata da uno speciale «modello marchigiano» di sviluppo economico.
Fano è anche il luogo dove, negli anni Ottanta e Novanta, si trasferiscono due criminali nati nell’ex Urss: Monja El’son e Iosif Roizis. Il loro arresto nel 1995 mette in moto una serie di eventi che sfociano in diverse indagini condotte negli Stati Uniti e in Italia, le quali rivelano la presenza della Solncevo a Roma. Monja El’son, nato nel ghetto ebraico di Chis ̧ina ̆u, capitale della Moldavia, era emigrato a New York nel 1978 grazie a un visto speciale per perseguitati religiosi. Arrivato in America, continua a sfruttare la sua identità religiosa. Vestito da ebreo ortodosso entra, insieme a un complice, nelle gioiellerie chiedendo di vedere costosi diamanti; mentre il complice borbotta qualcosa in yiddish distraendo il proprietario, El’son, con barba e cernecchi finti, cappottone e cappello neri, scambia i brillanti con zirconi.
Presto la sua «carriera» prende il volo e si dedica a reati più gravi, fra i quali l’estorsione e l’omicidio. La sua ascesa nella malavita russa lo mette prima in contatto e poi in conflitto con un trafficante di droga di primo piano, e successivamente con Vjaãeslav Ivan’kov, soprannominato Japonãik, il boss della Solncevo a New York. Per evitare di essere ucciso, El’son scappa a Fano, dove un ucraino con passaporto americano, Iosif Aronoviã Roizis, si era stabilito già dalla metà degli anni Ottanta. Qui Roizis aveva avviato un’attività di import-export di mobili fra l’Italia, Brooklyn e la Russia. Sembra che Roizis e El’son si fossero incontrati a Budapest a una riunione di esponenti della Solncevo.
Roizis era sotto osservazione da parte della polizia italiana. In passato era stato accusato di reati di droga, per i quali non fu mai condannato; era anche il destinatario di bonifici provenienti da località insolite, tra cui New York e la Russia, i quali confluivano sul suo conto corrente aperto presso la filiale di Pesaro della piccola Banca Popolare dell’Adriatico. L’istituto americano al centro degli inspiegabili trasferimenti di denaro era la Bank of New York, la quale alla fine degli anni Novanta sarà oggetto di un’indagine che farà scalpore: due emigrati russi che lavorano per l’istituto – uno è il vicepresidente – trasferiscono illegalmente oltre 7 miliardi di dollari attraverso centinaia di bonifici telegrafici. Nove persone saranno rinviate a giudizio. Nello stesso periodo, El’son è ricercato a New York per omicidio e, su richiesta dell’Fbi, la polizia italiana entra in azione. Nelle prime ore del mattino dell’8 marzo 1995, gli agenti fanno irruzione nell’appartamento di Roizis e arrestano i due uomini.
Poco dopo l’arresto, Roizis comincia a collaborare con le autorità. In un precipitare di circostanze, informa gli inquirenti che un boss della Solncevo, Ivan Jakovlev, si era trasferito in una piccola località balneare fuori Roma a partire dall’ottobre 1994 (alcuni documenti che dimostrano un collegamento tra Jakovlev e El’son erano stati trovati nell’abitazione di Roizis). Viene subito costituito un pool della polizia che co-mincia a sorvegliare la cellula della Solncevo e i suoi complici a Roma.
I tre anni di indagini (1995-97) producono un cospicuo rapporto in tre volumi da usare come prova al processo. Il dossier contiene centinaia di pagine di trascrizioni di telefonate fra criminali italiani e russi, prove di trasferimenti di denaro, operazioni finanziarie internazionali che coinvolgono banche a Londra, Budapest, Vienna, New York e Roma, speculazioni in Italia nonché informazioni dettagliate riguardanti molti degli individui coinvolti. Di ciascuno, il rapporto indica nomi veri e falsi, soprannomi, numeri dei passaporti, luoghi di residenza, viaggi, proprietà immobiliari ed eventuali dati forniti da altre autorità di polizia. In queste pagine compaiono parlamentari italiani e russi, leader politici russi (tra cui un governatore), il sottosegretario di Stato all’Energia del governo russo, avvocati, presidenti di diverse banche a Roma, Mosca e San Pietroburgo, il manager italiano di una società petrolifera caduto in disgrazia, ex funzionari del Kgb, ufficiali dell’esercito italiano e nordcoreano, poliziotti e personale dell’ambasciata di Roma. Fra le compagnie coinvolte, vi sono aziende automobilistiche e informatiche, e consorzi petroliferi russi. Questo documento mai utilizzato prima d’ora offre uno spaccato senza precedenti sulle operazioni e gli obiettivi del gruppo.
Le indagini si concludono nell’ottobre 1996, qualche settimana dopo l’omicidio raccontato nel primo capitolo, quando Boris Sergeev, in affari con Jakovlev, viene assassinato a Mosca. A quel punto, gli investigatori trasmettono i risultati dell’indagine alla procura e le autorità arrestano gli indagati chiave. Al processo emerge che la polizia non aveva l’autorizzazione per effettuare le intercettazioni telefoniche. Questo cavillo impedisce alla pubblica accusa di utilizzare il materiale raccolto e il processo non può celebrarsi. I protagonisti russi di questa vicenda vengono comunque espulsi dall’Italia e rispuntano a Mosca poco tempo dopo: si tenga presente che le persone menzionate in questo capitolo non sono state condannate in Italia per alcun reato.
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Federico Varese insegna Criminologia all’università di Oxford ed è autore di Mafie in movimento – Come il crimine organizzato conquista nuovi territori, da poco pubblicato in Italia per Einaudi (traduzione di Daria Cavallini) e da cui sono tratte queste pagine. Di Varese, Roberto Saviano ha raccontato: «Incontrai Federico Varese nel 2008, per la mia prima lezione ad Oxford. Ero terrorizzato. Mi accolse il suo sorriso insieme a quello di Davide Gambetta, due veri e propri esploratori del mondo delle mafie. Due maestri. Oxford mi sembrò un luogo che guardava spesso alle dinamiche mafiose del nostro paese e del mondo, con una urgenza più evidente rispetto a tanti altri atenei. Ora Federico Varese pubblica un libro in Italia dopo aver pubblicato molto in Gran Bretagna. Un saggio disciplinato, complesso, un’opera scientifica:Mafie in movimento. Si tratta di un’analisi profonda sul trapianto delle mafie fuori dai propri territori di origine. Fuora da quelli che vengono comunemente percepiti, con superficialità, come i loro confini “naturali”».