Il primo editoriale di Claudio Sardo
Il nuovo direttore dell'Unità scrive del declino di Berlusconi e della necessità di superare "la contrapposizione tra società civile buona e partiti cattivi"
Da oggi Claudio Sardo è direttore dell’Unità e nel suo primo editoriale parla dell’importanza dell’unità contro i settarismi, del declino di Berlusconi, della necessità di un nuovo “grande patto per la ricostruzione” del paese. E promette un giornale “battagliero e aperto”, impegnato a raccontare la “verità sull’Italia” e a “dar voce ai cittadini”.
L’Unità è il giornale delle idee, delle lotte, delle passioni civili che hanno radicato la sinistra nella storia italiana e ne hanno accompagnato la crescita democratica. Già il nome contiene una forza vitale, che è ragione non secondaria di questo lungo percorso. La tensione verso l’unità è stata nel tempo l’antidoto contro il settarismo, le tentazioni di autosufficienza, lo spirito minoritario o elitario. È stata una spinta continua al dialogo, all’apertura, al rinnovamento. È stata il mastice popolare che ha tenuto insieme il Paese nei momenti difficili.
Non c’è bisogno di tornare ai tempi eroici della Resistenza e della Costituzione, alle grandi conquiste dei diritti sociali e del lavoro, ai pensieri lunghi di Enrico Berlinguer e Aldo Moro per apprezzare il valore della parola unità. Sotto questo segno, dopo la sconfitta del ’94, nacque l’Ulivo, che consentì all’Italia di raggiungere il traguardo storico dell’euro, senza il quale chissà se oggi saremmo ancora un Paese unito. Ma a ben guardare lo stesso vento nuovo, sospinto dalle amministrative e dal referendum, reca un’impronta simile.
All’origine della nuova speranza italiana ci sono le celebrazioni del 150° dell’unità nazionale, che il presidente Giorgio Napolitano ha fortemente voluto e che hanno rinsaldato le radici patriottiche e costituzionali dei progressisti e dei moderati, provocando invece gravi affanni e contraddizioni nella maggioranza Pdl-Lega. Ci sono le battaglie di questi mesi dei lavoratori, dei precari, degli studenti, dei ricercatori, che si sono ribellati alle crescenti disuguaglianze e ai muri divisori tra Nord e Sud, tra garantiti e non, tra giovani e adulti, tra chi è protetto da una corporazione e chi no. All’origine del vento nuovo c’è ancora la carica culturale del movimento delle donne, che ha opposto al berlusconismo la più radicale critica del linguaggio e dei comportamenti. Quella del 13 febbraio non è stata l’ultima piazza della contestazione ma la prima della ricostruzione: ne è testimonianza quel passaggio dell’appello che richiama la coscienza “civile, etica e religiosa della nazione” come il tessuto connettivo da preservare (e domani tornerà a riunirsi a Siena il movimento “Se non ora quando?”).