Christopher Hitchens contro Gandhi
La difesa degli "intoccabili", il pacifismo, l'uso del proprio corpo: su quanti aspetti di Gandhi vale la pena di riflettere?
Christopher Hitchens – giornalista, storico e scrittore di fama internazionale e vena polemica – si è dedicato sull’ultimo numero della rivista The Atlantic ad un’analisi piuttosto critica della personalità di Gandhi. Hitchens ha 62 anni ed è nato a Portsmouth, in Inghilterra. Anche se mantiene la cittadinanza britannica, vive dal 1981 negli Stati Uniti e ha scritto, tra gli altri, per The Atlantic, Vanity Fair e Slate. L’etichetta che forse lo descrive meglio è “polemista”: un ateo militante e critico di tutti gli integralismi, è celebre per diverse stroncature di personalità politiche e religiose, tra cui Madre Teresa di Calcutta, Bill Clinton e Henry Kissinger. Il Post aveva tradotto parte del dibattito tra Hitchens e Tony Blair sul ruolo e l’utilità della religione, che si era tenuto a Toronto lo scorso novembre.
Nel 1995, Hitchens pubblicò un libro (La posizione della missionaria) fortemente critico su diversi aspetti della vita e dell’operato di Madre Teresa di Calcutta, tra cui il suo supporto alla famiglia dei dittatori haitiani Duvalier. Nel 2002 fu chiamato dal Vaticano a sostenere la voce “critica” nei confronti della religiosa durante il processo di beatificazione, con un ruolo simile a quello tradizionalmente chiamato di “avvocato del diavolo” (abolito pochi anni prima da papa Giovanni Paolo II). Un libro uscito lo scorso marzo gli ha dato ora l’occasione di dedicarsi a un’altra personalità di fama storica e mondiale: Gandhi. Il libro si intitola Great Soul: Mahatma Gandhi and His Struggle With India ed è una biografia scritta dal premio Pulitzer Joseph Lelyveld.
Hitchens osserva per prima cosa che il libro è estremamente equilibrato e riesce nel difficile compito di fornire i dati biografici senza forzare il lettore verso un ritratto univoco del personaggio: ad ogni modo, secondo Hitchens, dà ai lettori che vogliano vederle tutte le informazioni per farsi un’idea di Gandhi diversa e meno sistematicamente positiva rispetto alle agiografie più popolari.
Durante il periodo passato in Sudafrica all’inizio della sua carriera di avvocato, Gandhi non sembrava particolarmente colpito dalla situazione della popolazione nera nel paese, che nei suoi scritti nomina a volte con il termine dispregiativo kaffir. Aiutò anche ad organizzare il supporto ospedaliero per una spedizione bellica contro gli Zulu. Tornato in India, anche le sue posizioni contro il sistema delle caste nella società indiana furono più sfumate di quanto si è abituati a credere: non si spinsero per molti anni a criticarlo nella sua interezza, anche se certamente la sua battaglia contro la discriminazione degli “intoccabili” fu molto tenace e convinta. Ma forse anche in questo caso vale la pena di riflettere, dice Hitchens. Gandhi chiamò gli appartenenti ai gruppi sociali emarginati harijan, “figli di Dio”. Questi milioni di persone avevano già un rappresentante molto deciso nel giurista e politico B. R. Ambedkar, che invitava le vittime del sistema delle caste ad abbandonare l’induismo, il sistema religioso che permetteva e codificava il loro sfruttamento e la loro emarginazione. Gandhi e Ambedkar si scontrarono ripetutamente sulla questione della rappresentanza politica dei fuori casta, e Ambedkar si impegnò molto più concretamente nel miglioramento effettivo dei loro diritti e della loro qualità della vita; Gandhi, al contrario, non fece quasi nulla per organizzarli e rappresentarli, anche se dichiarava di “rappresentare nella mia stessa persona la grande folla degli intoccabili”.
Ancora durante gli ultimi anni della sua vita (era nato nel 1869), Gandhi pensava che il nemico principale dell’India fosse la modernità: secondo lui, il nuovo stato avrebbe dovuto rifiutare l’industria e la tecnologia, per rimanere fedele alla vita rurale dei “700.000 villaggi dell’India”, un’espressione evocativa che Gandhi utilizzava spesso. In una lettera di quando aveva quarant’anni, elencava tra i segni della modernità da rifiutare ferrovie, telegrafi, ospedali, avvocati (la sua stessa professione) e medici.
Anche a proposito dei concetti indù recuperati da Gandhi e messi a fondamento della sua attività politica, la ahimsa (rifiuto della violenza e convinzione dell’unità profonda di tutti gli esseri viventi) e la satyagraha che ne deriva (un termine concepito dallo stesso Gandhi), Hitchens ha qualche appunto da fare. Gandhi credeva che il suo modello fosse applicabile in tutte le situazioni, e non mancò di farlo notare nei difficili momenti storici che avvennero nel mondo durante la sua vita. Nel 1939 scrisse una lettera personale ad Adolf Hitler in cui lo chiamava “Amico mio” e proseguiva tentando di convincere il dittatore nazista a seguire il suo esempio di non violenza e rifiuto della guerra, in ragione dei successi che aveva personalmente già ottenuto.
Così, poco tempo dopo, suggerì ai britannici di lasciare che la Germania invadesse la “bellissima isola”, con tutti i suoi “bellissimi palazzi”, perché in ogni caso «gli darete tutto questo, ma non le vostre anime, né le vostre menti.»
Hitchens critica queste iniziative e queste idee come “arroganti”; Lelyveld, il biografo, rimane più diplomatico e definisce le lettere a Hitler «un mix disperato e naif di umiltà e ego».
Forse questo mostra solo i miei pregiudizi eurocentrici, ma interi passaggi del libro sono resi opprimenti, alla lettura – e non è certo colpa di Lelyveld – dalla necessità di registrare ogni misero grammo ingerito da Gandhi nel suo regime alimentare, ogni pollice quadrato di membra e di torace che sentiva necessario mostrare al mondo intero, ogni punto di stoffa meticolosamente fatta in casa in cui avvolgeva il resto del suo corpo, ogni atto di astinenza dal sesso e ogni esercizio di mortificazione fisica di sè. Dal punto di vista della personalità, questi sono di solito i lineamenti di un fanatico e di un aspirante al martirio, mentre dal punto di vista dell’ideologia rappresentano l’idea molto discutibile che l’ascetismo e l’austerità – persino la povertà – sono buone per l’anima.
In conclusione, la critica principale al modo di pensare e di agire di Gandhi è il disprezzo per il mondo materiale, considerato egoista, grezzo e malato, mentre tutto quanto appartiene alla sfera spirituale è considerato puro e altruistico.
Questa falsa antitesi è alla base di ogni fondamentalismo religioso, anche quando la sua deliberata indifferenza permette, e perfino incoraggia, un forte peggioramento nelle condizioni del mondo “reale”.
foto: Central Press/Getty Images