L’ex generale Divjak è ancora agli arresti a Vienna
L'eroe della resistenza di Sarajevo obbligato da quattro mesi a non uscire dall'ambasciata bosniaca
Lo scorso 4 marzo Jovan Divjak, ex generale dell’esercito bosniaco, era stato arrestato in Austria su mandato del governo serbo, che lo accusa di crimini di guerra durante il conflitto degli anni Novanta in Bosnia. Cinque giorni dopo era stato scarcerato e messo agli arresti domiciliari presso l’ambasciata bosniaca di Vienna, dove tuttora è costretto, come ha spiegato lo scorso mercoledì sul Foglio Adriano Sofri.
Ieri, quando è cominciata l’estate, Jovan Divjak aveva trascorso 107 giorni agli arresti in Austria, dopo esservi stato fermato assurdamente mentre faceva scalo in viaggio da Sarajevo a Bologna. Vi ricordate la storia. Un mandato serbo chiede l’estradizione di Divjak imputandogli la responsabilità degli scontri sanguinosi fra i militari serbi che uscivano da Sarajevo nel maggio 1992, all’inizio della guerra, e i militari, in gran maggioranza musulmano-bosniaci, che restavano a difesa della città. Divjak, serbo di origine, scelse di rimanere a Sarajevo e guidare la sua difesa. L’accusa che gli viene mossa venne già esaminata e respinta, per la totale assenza di prove, dal Tribunale internazionale per le Nazioni Unite. Alle fazioni più nazionaliste di Belgrado, che non hanno mai perdonato a Divjak quello che considerarono un tradimento, l’accusa vendicativa nei suoi confronti (e di altri ufficiali, a loro volta scagionati) serve a tentare di bilanciare le proprie colpe. Divjak ebbe il merito di restare fedele non a un marchio etnico, ma alla cittadinanza di cui era parte e all’ideale della convivenza. Per questo finì per essere inviso ai nazionalisti di ogni sponda: fu ed è compensato dall’amore della gente di Sarajevo. Dopo la guerra ha impegnato tutte le sue energie a promuovere la formazione scolastica e universitaria degli orfani di guerra senza riguardi alla loro etnia, e ha riscosso per questo il plauso e l’ammirazione internazionale. Il suo arresto lo scorso 3 marzo, durante uno dei suoi tanti viaggi all’estero -in particolare in Francia e in Italia, dove i suoi libri hanno avuto maggior risonanza- fu un atto proditorio e inaspettato da un paese come l’Austria. Ed è amaro constatare il prolungamento della sua detenzione -sia pure trasformata, al prezzo esoso di 500 mila euro di cauzione, negli arresti presso l’ambasciata di Bosnia Erzegovina- oltretutto allarmante, nella disattenzione che circonda vicende così protratte e così impensabili. Consegnare Divjak al carcere serbo getterebbe su Vienna una macchia di viltà terribile. Bisognerà che la voce di chi rispetta la verità e la fraternità fra le genti si faccia di nuovo sentire per un uomo degno come Jovan Divjak.