Cosa dice il romanzo Bisignani
Che siamo nei guai, e non ci salveranno quelli che li hanno procurati e tollerati finora
Ci sono molte riflessioni da fare su quello che i giornali stanno mostrando in questi giorni ai lettori in forma di “lettura estiva”, una specie di categoria moderna del feuilleton: intercettazioni di uomini e donne pubbliche a puntate. Ma prima di farle, non si può non dire che sono complicate da una specie di vizio di fondo con cui non sappiamo più come confrontarci, e che è difficile da gestire: ovvero la legittimità, o almeno la correttezza della loro pubblicazione.
Su questo, al Post ci facciamo sempre molte domande e non abbiamo tutte le risposte. Per esempio pensiamo che ci debba essere una distinzione tra le responsabilità di chi lavora nelle inchieste e quelle di chi lavora nell’informazione. I primi sono autorità pubbliche che hanno il dovere e la responsabilità di tutelare completamente la riservatezza degli indagati, degli imputati, e delle persone coinvolte senza essere sottoposte a indagine. E hanno il dovere di fare le indagini e non di diventare semplici sbobinatori. E il venir meno a questa responsabilità è molto grave, e non c’è dubbio che qualcuno vi stia venendo meno e non per distrazione.
I secondi rispondono ad altre responsabilità, che sono quelle di dare notizie e informazioni e di rispettarne la congruità e la rilevanza, senza violare gratuitamente la privacy personale degli interessati e senza gettar via la propria autorevolezza e correttezza: senza trasformare dei quotidiani importanti in rotocalchi di serie C. E il venir meno di questa responsabilità è molto grave, e non c’è dubbio che qualcuno vi stia venendo meno e non per distrazione.
Ma non si può chiedere a un giornalista di non pubblicare una notizia. Quello che gli si deve chiedere è di saper distinguere una notizia. Noi crediamo che in quello che sta venendo pubblicato in questi giorni ci siano due tipi di contenuti, e che la loro divulgazione pubblica da parte dei media debba essere indipendente dalla fondatezza dell’accusa, di cui parliamo tra poco. Uno sono le dichiarazioni e conversazioni che mostrano quali mediocri e traffichine umanità e metodi governino l’esercizio del potere pubblico in Italia (che governino anche l’esercizio del potere privato è altrettanto interessante, ma indipendente dalla valutazione democratica), che gli danno quella “trasparenza” che altrimenti manca. L’altro sono le dichiarazioni e conversazioni legate unicamente ai rapporti tra persone, che costituiscono “notizia” solo in quanto le persone sono note: ma è ben diverso l’atteggiamento che si deve avere prima di pubblicare un virgolettato da cui si evincono i meccanismi della nomina a sottosegretario di Daniela Santanché rispetto a quello da tenere di fronte a un’intercettazione in cui Vittoria Brambilla sia semplicemente insultata in una conversazione tra padre e figlio Bisignani, al di fuori di qualunque merito. Così come pubblicare elenchi di nomi di persone famose solo perché hanno avuto delle telefonate con un indagato, indipendentemente dal contenuto di quelle telefonate.
Quindi qualche fastidio una parte delle intercettazioni lo genera, non per sensibilità da femminucce (che pure ci vorrebbe più spesso), ma perché la loro volgare indiscrezione aizza il peggio del qualunquismo, del guardonismo, il peggio del peggio di noi, che un giorno – alla prima occasione in cui saremo trascritti pubblicamente mentre diamo della puttana a qualcuno – ci si ritorcerà contro, se non lo sta già facendo con la riscoperta del “fine che giustifica i mezzi” protagonista di storiche tragedie. E anche perché questo abbassamento della soglia di correttezza, responsabilità, senso di quel che è giusto, avvicina molto i controllori ai controllati, rende i loro giudizi meno credibili e rispettabili e fa il gioco di chi voglia spostare l’attenzione sui pessimi mezzi con cui si pretende di ottenere buoni fini.
Noi invece quell’attenzione non la vogliamo spostare, e una volta detto questo – e tenendolo ben presente – attribuiamo senz’altro un valore giornalistico, politico e storico a quello che stiamo leggendo, a prescindere dal suo rilievo giudiziario (la forzatura verso un'”associazione a delinquere” appare al momento piuttosto implausibile, a meno che non si definisca tale ogni conversazione volta a ottenere i propri interessi: ma questa è una valutazione che devono fare dei tribunali attenti e corretti). Il decadente, cialtrone e scorretto sistema di gestione delle cose pubbliche – che non è una novità per molti – riceve da questi documenti una nuova visibile e indiscutibile sanzione, anche a chi sappia maneggiare con diffidenza delle trascrizioni telefoniche e ne conosca l’ingannevolezza. Che i cittadini sappiano con quali modi vengono gestiti i mandati che sono stati attribuiti democraticamente, è un obiettivo a cui a nessun giornalista può essere detto di sottrarsi, qualora ne abbia gli strumenti: anche se questi strumenti abbiano provenienze illegali. A patto che il giornalista abbia una propria etica che legittimi questa indipendenza, e che se ne assuma le conseguenze (persino quelle penali eventuali).
Inciso: Dagospia. Fonte, sponda, sicario e divertissement di una discreta parte della classe dirigente italiana da anni – con tanto di tentativi di imitazione e persino di presa a modello imprenditoriale e informativo – e delle redazioni che oggi infine rivelano i suoi meccanismi ricattatori e servili. Anche di questo, in molti sapevamo.
I modi della gestione delle cose pubbliche raccontati in questi giorni sono pessimi. Le persone sono mediocri. La classe dirigente che governa l’Italia ne esce come quella di una macchietta di paese sudamericano quando si usava quella macchietta lì (il Corriere cita persino “un big del PdL” che giunge a simili conclusioni: «Il quadro generale che colpisce di più è la debolezza di un’intera classe dirigente»). Niente a che vedere con chi debba guidare una grande democrazia moderna nel 2011 in tempi difficili ed essere modello per gli altri. Certo, è difficile tirare una linea nettissima in mezzo alla lavagna per spartire tra i buoni e i cattivi, quando i grandi giornali spesso si servono delle stesse fonti e trattano con gli stessi ambienti, quando alcuni magistrati trovano simili collaborazioni per dare pubblicità alle loro inchieste, quando imprenditori “nuovi” fanno le stesse telefonate. Ma non si può neanche non dare rilievo al fatto che quei modi lì, quelle scarsezze umane e politiche che spesso si sono manifestate ultimamente, riguardano oggi il centrodestra e non i partiti di opposizione di sinistra. Di cui si può criticare molto, ma questa cultura del potere è una débacle tutta del centrodestra, non “della politica”.