L’Italia di Bisignani
Non ci sono reati, forse, scrive Europa: ma il racconto di un pezzo di paese che è difficile possa cambiare se stesso, Montezemolo compreso
Il vicedirettore di Europa Giovanni Cocconi fa oggi un po’ di riflessioni moderate ma drastiche sul significato di quello che in questi giorni stiamo leggendo a proposito dell’inchiesta contro Luigi Bisignani.
Probabilmente è un reato impossibile da dimostrare. Forse non c’è proprio. Quasi certamente non si tratta di un’altra P2. Ma quello che abbiamo letto su Luigi Bisignani è sufficiente per farci capire che il personaggio finito nella rete della procura di Napoli non è un pesce piccolo. Gli stessi giornali che ieri riempivano le pagine di intercettazioni e deposizioni non sanno come definirlo.
Faccendiere, uomo d’affari, lobbista, consulente? Già, che lavoro faceva Bisignani? «È l’uomo più conosciuto che io conosca» ha spiegato Gianni Letta, non esattamente un dilettante nelle relazioni di potere e che, con Cesare Geronzi e appunto Bisignani, rappresenta uno dei principali anelli di congiunzione tra Prima e Seconda repubblica.
Una filiera di potere molto romana (e vaticana) che dall’andreottismo porta fino al gran ciambellano di palazzo Chigi e al suo sistema di relazioni, passando per i servizi d’intelligence, pezzi di magistratura, le grandi imprese pubbliche, la Rai e Dagospia. Anzi, forse proprio il sito di Roberto D’Agostino, nella sua ambiguità tra condanna e complicità, tra disprezzo e indulgenza, rappresenta lo specchio perfetto della “Roma godona” sulla quale regnava Bisignani. Un pezzo d’Italia che nel profondo non è mai cambiato e che tende a sostituire con le relazioni personali ciò che dovrebbe essere affidato alle capacità e alle competenze.
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