Le specie marine rischiano
Inquinamento e pesca senza controllo stanno portando a grandi estinzioni di massa negli oceani, dicono 27 scienziati in un rapporto consegnato all'ONU
A causa del riscaldamento globale, dell’inquinamento e della pesca senza controllo, diverse specie che vivono negli oceani potrebbero andare rapidamente incontro a una estinzione di massa. La previsione è stata formulata da un gruppo di 27 scienziati in un documento da poco presentato alle Nazioni Unite sullo stato degli ecosistemi marini. Il rischio è che la scomparsa di numerose specie inneschi un circolo vizioso, tale da compromettere il ciclo della vita negli oceani portando a una riduzione considerevole di pesci, cetacei, crostacei ed altri esseri viventi che popolano le acque marine.
Le specie ittiche sono la prima risorsa alimentare per circa un quinto della popolazione mondiale e una loro riduzione significativa potrebbe essere un problema per centinaia di milioni di persone. I microorganismi che vivono negli oceani sono inoltre molto importanti per ridurre i livelli di anidride carbonica, il principale gas serra prodotto anche dalle attività umane e tra i primi indiziati del riscaldamento globale.
Secondo gli autori del rapporto consegnato all’ONU, i cambiamenti negli ecosistemi marini si stanno verificando molto più rapidamente di quanto fino a ora previsto. Il problema interessa numerose specie, come i coralli, le cui barriere si stanno riducendo molto velocemente. Nello studio si parla dei coralli millenari dell’Oceano Indiano morti negli ultimi anni con dinamiche definite “senza precedenti” e che stanno avvenendo nel corso di una generazione appena.
La modifica degli ecosistemi marini e l’estinzione di numerose specie sono state innescate dagli alti livelli di inquinamento e dalla riduzione delle dimensioni degli habitat naturali, anche a causa dell’intervento umano. Su queste dinamiche si sono innescati negli ultimi anni anche i primi effetti del riscaldamento globale, dicono i ricercatori. L’anidride carbonica prodotta dalle attività umane, principalmente dalla combustione di gas, carbone e petrolio, finisce per riversarsi anche negli oceani, la cui acidità media aumenta, devastando per esempio le barriere coralline.
A questi effetti chimici si aggiungono anche quelli fisici. Il crescente calore in alcune aree del Pianeta ha fatto sì che le temperature medie di intere porzioni degli oceani siano più alte, condizione che spinge migliaia di specie animali a spostarsi in acque più fresche per poter sopravvivere. Spostandosi, le specie invadono altri habitat portando a notevoli scompensi negli ecosistemi e compromettendo gli equilibri della vita marina.
Per Jelle Bijma, dell’Alfred Wegener Institute che effettua spedizioni e ricerche sull’ambiente nell’Artico e in Antartide, gli oceani iniziano a sperimentare un “terzetto della morte” costituito dalle temperature più alte, dall’acidificazione dell’acqua marina e dalla mancanza di ossigeno, condizioni che si sono già verificate in passato nel corso delle grandi estinzioni di massa che hanno interessato gli oceani della Terra.
La riduzione di ossigeno è in parte dovuta alla dispersione nelle acque dei fertilizzanti, che attraverso i fiumi raggiungono poi i mari e gli oceani. Si formano così delle zone morte in cui i livelli di ossigeno sono estremamente bassi, a tal punto da rendere impossibile la vita a numerose specie. Secondo Bijma siamo ormai nel bel mezzo di un processo di estinzione di massa che potrebbe cambiare sensibilmente gli oceani rispetto a come li conosciamo oggi. In passato gli oceani si sono ripresi dalle grandi estinzioni, ma questa volta potrebbe essere diverso perché inquinamento e riscaldamento globale potrebbero rallentare o rendere impossibile il recupero.
Il rapporto ricorda che non è comunque troppo tardi per intervenire e ridurre i rischi per gli oceani. Una prima soluzione potrebbe essere quella di riportare la pesca a livelli sostenibili per gli ecosistemi. Il compito di controllare e sanzionare chi non rispetta la regole spetterebbe ai governi e richiederebbe sforzi contenuti, rispetto a politiche più impegnative e nel lungo periodo per ridurre le emissioni, cosa che comunque bisognerà fare. La pesca senza controllo è la principale causa della riduzione degli ecosistemi marini e sta mettendo a rischio almeno 500 specie diverse in tutto il mondo. Riducendo la pesca selvaggia, queste specie potrebbero ripopolare i loro habitat, evitando il rischio dell’estinzione.