Itabolario: Euro (1999)
Massimo Arcangeli ha raccolto 150 storie dell'Italia unita, una per ogni anno: Itabolario. L'Italia unita in 150 parole (Carocci editore)
di Yorick Gomez Gane
1999. Euro (s. m.)
È il passe-partout del Vecchio Continente per il nuovo millennio (entrato in vigore virtualmente nel 1999, nelle nostre tasche nel 2002). La parola d’ordine per le battaglie comunitarie nei mercati internazionali. Un film con milioni di protagonisti (Molto di nuovo sul fronte occidentale…). Sarà vera gloria? Ai poveri l’ardua sentenza.
Moneta unica, interessi molteplici. Al battesimo del neonato (il vertice CEE di Madrid del 1995) i genitori avevano festeggiato al suono dei campanilismi: i tedeschi avrebbero voluto Euro- come prefisso per ogni vecchio conio (Euro-mark in primis); i francesi, con spirito poco rivoluzionario, una conferma della precedente valuta ecu, da loro pronunciato come écu “scudo”; gli inglesi (God save the Queen…) le forme derivate da corona; il BENELUX il florin, vecchia moneta locale discendente da quel fiorino di Firenze caldeggiato invece dagli italiani, o meglio dal loro fiorentinissimo portavoce Lamberto Dini, al tempo Presidente del Consiglio. La presidenza spagnola aveva allora proposto un più neutro euro, che non privilegiando nessuno in particolare, e richiamando a tutti il familiare nome dell’Europa, aveva placato le scaramucce tra i moschettieri europei: tutti per euro, euro per tutti!
Il nome però, benché omonimo del mitico vento di scirocco, non è caduto dal cielo ma dalla CEE. Più precisamente dai suoi ambienti finanziari – cfr. de Boer (2000) e Gomez Gane (2003), per vie indipendenti –, in cui per i nomi delle euro-valute l’usus nomenclandi si rivela piuttosto costante: lingua inglese e riduzione da locuzione a parola unica. Come eurco, proposto nel 1973 per “una possibile nuova unità di conto”, è l’acronimo di European Composite Unit (cfr. Satta, 1974) ed ecu, dal 1978, lo è di European Currency Unit, così la valuta europea euro è con tutta probabilità l’ellissi di euro(-)currency “valuta europea”, da anni in vigore nell’ufficiale European Currency Unit (come aggettivo, in inglese, euro vale european sin dal 1963). Insomma “non c’è due senza tre” o – se preferiamo – “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”.
Euro è una delle parole più gettonate nella storia dell’italianistica («un blablà infinito»: Leone, 2008), soprattutto per la singolare questione del plurale: gli euro o gli euri? Inizialmente si erano usate ambedue le forme, grammaticalmente corrette (il gazebo all’inizio fa i gazebo, ma alla fine anche i gazebi). A partire dal 1998, però, era infuriata in ambito giornalistico un’enorme bufala: una sedicente “direttiva comunitaria” che imponeva all’Italia il plurale euro (era in realtà una semplice “nota” interdicasteriale che suggeriva per i documenti legislativi l’uso del medesimo plurale presente sulle monete; i dati completi in Gomez Gane, 2003). Al massiccio bombardamento contro gli euri da parte dei mass-media (armi di istruzione di massa, che ci piaccia o no) soggiacquero, assieme a quasi tutti gli italiani di cultura medio-alta, anche l’Accademia della Crusca e l’allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, immortalato dai media nel simbolico atto di convertire di proprio pugno gli euri della Gazzetta Ufficiale (l’“euri-convertitore…”) in euro. Euri, dunque, fuori corso? Niente affatto: circolano come dialettalismi in quasi tutte le regioni d’Italia (cfr. il motore di ricerca Google ma anche scrittori come Camilleri), si smerciano come vezzo trendy nei vari giovanilesi regionali (che attingono ai dialetti, come nel titolo bucatini-western di un album dei Flaminio Maphia del 2005, Per un pugno di euri), si svalutano per l’autocompiacimento connotativo di romanzieri falsari, si collezionano per gusto alessandrino e per principio (uso spontaneo dei parlanti vs ingerenze linguistiche dall’alto: penso al giornalista Luigi Pintor o all’italianista Enrico Malato). Non solo. A svalutazione mediatica conclusa, la soglia di attenzione dei parlanti sta tornando bassa come ai primi tempi. Confortati negli eventuali dubbi da una dizionaristica in linea generale non ostile, gli italiani possono tornare a esprimersi in modo spontaneo: «Se invece conosci i tuoi limiti e non hai abbastanza manualità… be’, allora procurati un colino a maglie larghe, o meglio un separatore di tuorli, costa pochi euri, e rompici le uova sopra» (Bay, 2006, p. 188). Non è ancora tempo per nuovi bilanci, ma bisogna tenersi pronti: come lo Spirito di nota memoria, gli euri soffiano dove e quando vogliono.