Chi è Jon Huntsman
Ritratto dello strano repubblicano che ieri si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti
di Francesco Costa
Liberty State Park è il parco che sta di fronte alla Statua della Libertà e Ellis Island. Nella politica americana è famoso perché è il posto da cui nel 1980 Ronald Reagan – in maniche di camicia, senza cravatta e coi capelli scombinati dal vento – annunciò la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, sfidando il presidente uscente Jimmy Carter. Quella volta finì con una netta vittoria dello stesso Reagan, che poi ottenne anche un secondo mandato e oggi è l’ex presidente ricordato con più nostalgia dagli elettori repubblicani. Probabilmente si augura una simile sorte l’uomo politico che ieri, dallo stesso bellissimo luogo, ha annunciato la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Si chiama Jon Huntsman e non è un repubblicano come gli altri.
Jon Huntsman ha 51 anni, otto tra fratelli e sorelle, una moglie, sette figli, di cui una adottata in Cina e una in India. Suo padre, Jon Huntsman anche lui, ha fatto una fortuna inventando e vendendo, tra le altre cose, le confezioni di plastica dentro cui mettono i Big Mac, nei McDonald’s americani. Huntsman figlio raggiunge a 15 anni il grado di Eagle Scout, il più alto nei boy scout americani, e poco tempo dopo lascia la scuola superiore per dedicarsi a tempo pieno alla sua band di progressive metal, i Wizard (quando nel 2007 i Dream Theater andranno a suonare nello Utah, di cui lui era governatore, indirà ufficialmente il “Dream Theater Day”). Poi riprende gli studi e dopo aver passato due anni a Taipei come missionario (è mormone, come i suoi genitori), Huntsman torna in patria e si laurea in Politica internazionale all’Università della Pennsylvania.
Dopo la laurea Huntsman comincia a occuparsi di politica. Lavora come assistente alla Casa Bianca durante la seconda amministrazione Reagan e durante l’amministrazione di George H. W. Bush. Fa l’ambasciatore a Singapore. Nel 2004 viene eletto governatore dello Utah, nel 2008 viene rieletto con il 77,7 per cento dei voti. In certi periodi la sua popolarità sfonda il 90 per cento, i bilanci dello Stato restano floridi nonostante corposi tagli alle tasse, il centro di ricerca Pew indica il suo Utah come lo Stato meglio amministrato d’America. Il tutto governando con uno stile e posizioni politiche più uniche che rare, per un repubblicano: da governatore dello Utah, uno degli stati più a destra degli Stati Uniti, si è detto favorevole alle unioni civili per gli omosessuali, favorevole a una tassa sulle emissioni di CO2, favorevole al piano di stimolo all’economia promosso dall’amministrazione Obama.
Insomma, un repubblicano moderato, popolarissimo in uno stato conservatore e stimato dai democratici (un anno fa Newsweek inserì Jon Huntsman nella lista dei “repubblicani preferiti dai democratici”): il profilo perfetto di un potenziale candidato alla presidenza e infatti Obama, pochi mesi dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, lo ha mandato a fare l’ambasciatore in Cina. La mossa era stata pensata per fare contenti tutti: Huntsman doveva guadagnare spessore in politica estera attraverso un incarico strategico e tenersi fuori dalla politica interna durante il dominio dei tea party, ai quali lui è piuttosto indigesto; Obama doveva liberarsi di uno dei più pericolosi tra i suoi potenziali rivali in vista delle presidenziali del 2012. Se non fosse che Huntsman ha deciso di non aspettare il 2016 e candidarsi subito. Si è dimesso dall’incarico di ambasciatore e dopo qualche settimana di indiscrezioni si è candidato ufficialmente alla presidenza.
Per il momento Huntsman è ancora poco noto nel paese e le primarie lo vedono partire sfavorito: politici come Romney o Pawlenty lavorano da anni alla loro candidatura coltivando contatti con attivisti e finanziatori. Potesse saltare le primarie, Huntsman sarebbe certamente un temibile sfidante per Obama: che tra l’altro, avendolo scelto come ambasciatore e avendone sempre parlato molto bene, faticherebbe a descriverlo come inadeguato o impreparato. La stima che Obama nutre nei suoi confronti alle primarie rappresenta però un notevole ostacolo: la base del partito repubblicano vede l’attuale amministrazione più o meno come il male assoluto e ci vuole poco a dipingere Huntsman come una specie di cocco di Obama.
Per questa ragione l’ex governatore dello Utah nelle ultime settimane si è molto distaccato dalla Casa Bianca, tornando sui suoi passi su parecchi temi: sulla tassa sulle emissioni, sul pacchetto di stimolo all’economia, sulla riforma sanitaria. Persino sulla guerra in Afghanistan e in politica estera, sostenendo che Obama dovrebbe riportare il prima possibile i soldati a casa (e ribaltando così anni di posizioni interventiste da parte dei repubblicani). Questo gli sta costando l’accusa di ipocrisia, sia da parte dei democratici che tra i repubblicani. In questa fase, è probabile che a Huntsman questi attacchi non dispiacciano del tutto: erano ampiamente previsti e possono aiutarlo a far parlare di sé, della sua storia e della sua candidatura. Se ne uscirà indenne, riuscendo a convincere gli americani della sua credibilità, Huntsman potrebbe arrivare alle primarie del 2012 con qualche carta da giocare.