L’anonimato online non è più quello di un tempo
Il New York Times riflette sulla facilità di identificazione offerta oggi dalla rete, e sostiene che non sia male
Il New York Times è tornato ad affrontare la questione dell’anonimato online spiegando come il concetto stesso di anonimato sia ormai stato molto ridefinito dall’uso che facciamo ogni giorno della Rete, fino quasi a scomparire. La tesi di fondo è molto netta: un tempo Internet era visto come il luogo in cui l’anonimato prosperava, ora invece è diventato il luogo in cui muore.
Le donne che frequentavano online l’ex senatore Anthony Weiner hanno imparato quanto in fretta gli utenti Internet siano in grado di rintracciare tutti i dettagli della vita privata di una persona. La stessa cosa è successa agli uomini che hanno dato fuoco alle macchine durante gli scontri di Vancouver, dopo la sconfitta dei Canucks nella finale della Stanley Cup, quando sono stati identificati perché taggati in una foto da dei loro conoscenti. L’intelligenza collettiva degli oltre due miliardi di utenti Internet, e le impronte digitali che così tante persone lasciano nei siti web, fa sì che sia sempre più facile collegare ogni foto, ogni video e ogni email alla sua fonte, che la fonte lo voglia o no. Questa intelligence rende la sfera pubblica più pubblica di sempre e a volte espone pubblicamente frammenti di vita molto privata.
Quando la settimana scorsa il fotografo Rich Lam ha fatto una serie di scatti a una coppia che si stava baciando per terra tra due cordoni della polizia intervenuta per placare gli scontri a Vancouver, sono bastate meno di ventiquattro ore per risalire all’identità dei due ragazzi, dichiarazioni dei parenti comprese. La notorietà della “kissing couple”, spiega Brian Stelter sul New York Times, non durerà probabilmente più di qualche giorno, ma il loro caso è comunque un sintomo importante di un cambiamento profondo che è in atto già da tempo nella nostra società.
L’erosione dell’anonimato è un prodotto della diffusione pervasiva di social media, cellulari con fotocamera, servizi di hosting e, forse più importante di tutto il resto, un cambiamento nel modo in cui le persone considerano quello che è pubblico e quello che è privato. Gli esperti sostengono che siti come Facebook, che richiedono un’identità reale e incoraggiano lo scambio di foto e video, hanno accelerato questo cambiamento.
Dopo gli scontri di Vancouver non c’è stato bisogno di ricorrere a tecnologie di riconoscimento facciale per risalire ai colpevoli, è bastato navigare tra le pagine dei social network per identificare le persone che erano state coinvolte. Come nel caso di Nathan Kotylak, 17 anni, la star locale della squadra giovanile di canoa polo. Kotylak si è poi scusato su Facebook per quello che aveva fatto, ma le scuse non sono bastate a evitare che anche la sua famiglia restasse coinvolta. Alcuni giornali locali hanno scritto che il padre, un medico, ha visto crollare il suo ranking sul sito RateMDs.com subito dopo che i social network avevano iniziato a parlare di suo figlio. Camille Cacnio, una studentessa di Vancouver che aveva partecipato agli scontri e che è stata smascherata dai social network, ha commentato dicendo che «la caccia su Internet non è altro che una forma di mobbing». Per alcuni questa situazione non è altro che una deriva tecnocratica che sottrae libertà individuali, paragonabile a quanto accade nei paesi in cui i regimi monitorano costantemente le attività online delle persone. Eppure, continua Stelter, le conseguenze positive del declino dell’anonimato sono molte. In paesi come l’Iran o la Siria hanno consentito agli attivisti di risalire all’identità di persone che avevano subito violenze e abusi denunciati attraverso video anonimi caricati su Youtube. In altri casi è servita a smascherare falsi, come con il blog della gay girl di Damasco, che si è poi scoperto essere soltanto quello di un uomo americano che si era inventato tutto.