Come va con Alemanno
Un bilancio dell'amministrazione di Roma, precipitata nel gradimento cittadino
di Stefano Menichini
Se per una volta fate una cosa banale da vecchi giornalisti pigri, siete assolti. Ne varrà la pena. Anzi, avrete la notizia. Parlate col tassista.
Perché il tassista a Roma non amplifica una generica vox populi buona per i reportage mediocri: porta una ben più interessante vox sui, la posizione di un gruppo sociale duro e coeso che ha pesato nella storia politica cittadina degli ultimi vent’anni. Sempre ferocemente ostile alle amministrazioni di sinistra, attivo nelle manifestazioni di piazza, abile nel fare lobbying, compatto nel sostegno elettorale alla destra, spietato nella diffusione incontrollabile e inarrestabile di sanguinose calunnie ai danni dei sindaci progressisti e dei loro famigliari fino alla terza generazione.
Il tassista ora ce l’ha con Alemanno. Non arriva ancora a infangarne la vita privata, ma presto lo farà. Il traffico non è né migliore né peggiore di prima, ma ora la colpa di tutto quello che non va è del sindaco il cui nome a suo tempo avevano appiccicato su ogni parabrezza. L’uomo che li ha usati e fregati. Che ha aumentato le tariffe, ma non come promesso. Che ha spalancato il centro ai pullman turistici che Rutelli aveva bravamente tenuto alla larga ai tempi del Giubileo. E che, costretto dal semplice buon senso, ha dato il via a misure odiose (per i tassisti) quali la ricevuta obbligatoria e l’uso delle corsie preferenziali per i motorini.
Ecco, in queste due ultime motivazioni del tassista c’è tutta la irrimediabile disgrazia del sindaco Alemanno al terzo anno di mandato: neanche le cose buone, o almeno ragionevoli, che prova a fare, gli girano bene. La giornata media di un sindaco di Roma, che è sempre un ottovolante di celebrazioni ed emergenze, lustrini e melma, per Alemanno segna cattivo tempo permanente. E si capisce perché lui non veda l’ora di andarsene, quasi più di quanto lo desideri il 58 per cento di romani che gli ha decretato la sfiducia piena secondo un sondaggio Ipsos commissionato e poi secretato dall’Amministrazione (ma questo lo facevano anche i predecessori).
Non basteranno lo spin di Luigi Crespi e neanche la free-press confezionata ad hoc nei prossimi mesi da Maurizio Costanzo (che s’è offerto per aiutare il sindaco, non free, ma questo lo faceva anche per i predecessori): il bilancio dell’amministrazione di Alemanno è ironicamente in rosso. E molte vicende della politica nazionale che lo riguardano si capiscono meglio alla luce dell’incombente fallimento capitolino, a cominciare dalla foga antipadana con la quale il sindaco difende dall’espropriazione il patrimonio meno difendibile e meno amato della Capitale, cioè i suoi ministeri. Alemanno è diventato Retromanno, come lo chiamano, in un amen. In meno di un anno.
I parcheggi a pagamento prima cancellati, come da promessa elettorale, poi precipitosamente ripristinati.
L’abbattimento della teca dell’Ara Pacis, annunciato e subito revocato, con tanto di maxi-convegno con le stesse archistar che la destra d’opposizione sbertucciava.
I ripensamenti che hanno riportato in piazza i tassisti.
La cacciata dell’unico pezzo pregiato e originale della giunta, il futurista ex verde ex nero assessore alla cultura Croppi, neanche vero finiano ma comunque troppo eterodosso per la deriva neoguelfa del sindaco.
La plateale patetica abbuffata in piazza Montecitorio per far pace con Bossi, ingollato di bucatini alla pajata, qualche mese prima di minacciare di spedire i legionari a Pontida.
Il gravissimo scandalo della Parentopoli romana, compresi veri parenti del sindaco, cioè quell’ondata di assunzioni a ogni livello delle aziende municipali, dall’autista fino al direttore generale, che è stata così candidamente spiegata dagli stessi attoniti osservatori ex camerati di Alemanno: siamo gente che ha fame, a Roma abbiamo passato troppi anni annichiliti dal sistema di potere ulivista. Sicché il primo sindaco postfascista della storia della città, che voleva farsi moralizzatore, passa ormai per scatenato lottizzatore, con l’aggravante della fedina penale di alcuni dei lottizzati, molti reduci non innocenti della guerra civile da strada degli anni ’70 e ’80.
Infine, soprattutto, Alemanno è Retromanno per la gestione rapsodica dei rapporti con i poteri forti: prima denunciati come veri padroni delle giunte rosse; poi corteggiati e omaggiati, soprattutto nella persona di Caltagirone con la cessione progressiva e a prezzo di saldo dell’Acea, l’ex municipalizzata dell’acqua ora partecipata dal Comune; fino all’ennesimo recente voltafaccia – che certo non migliorerà i rapporti del sindaco né con Caltagirone né col suo Messaggero – quando l’esito del referendum sull’acqua pubblica (affluenza a Roma oltre il 60 per cento) ha spinto l’ex militante della destra sociale a prospettare la riacquisizione piena di tutta la società: l’ennesima assurdità che verrà ritirata, sintomo però dell’improvvisazione al potere sul Campidoglio.
In effetti, anche a guardarne i manifesti sui muri, Roma pare già dentro l’interminabile campagna elettorale che fatalmente, entro due anni ma più probabilmente nel 2012, condurrà Nicola Zingaretti a marciare sulle spoglie lasciate dal non ricandidato Alemanno. L’ex giovanotto del Fronte della gioventù si batte, promette fedeltà al mandato, ma non è la fascia tricolore che sta difendendo bensì la leadership nazionale nel Pdl che sentiva a portata di mano, e che vede svanire nella tenaglia fra l’auto-affondamento berlusconiano e l’unanime giudizio di fallimento sulla sua prima vera esperienza di governo.
Che poi, a essere oggettivi, il sindaco avrebbe avuto anche momenti apprezzabili.
La comunità gay ha un altro sindaco incondizionatamente dalla sua parte, come addirittura sua maestà Lady Gaga ha riconosciuto dal palco dell’Europride: eppure, fischi sonori dal Circo Massimo, perché come si diceva anche ciò che andrebbe bene, alla fine va sempre male.
A parte le assunzioni dei vecchi camerati e la controversa questione dell’acquisto da parte del Comune del palazzo occupato da anni dal centro sociale di destra Casa Pound, in genere il sindaco si barcamena fra gli opposti estremismi tornati nervosi in città: e per uno con i suoi precedenti si tratta di un terreno davvero scivoloso.
La città è sporca, ma nella media: il baratro napoletano non s’è (ancora) spalancato e nell’opinione da bar resta salda la convinzione che le strade facessero più schifo sotto Veltroni. Come pure nessuno se la sente di addebitare alla giunta il tracollo dei servizi pubblici comunali, gli asili innanzi tutto, visto il buco di bilancio (solo in parte gentilmente ripianato dal governo nazionale con leggina ad hoc contestata dalla Lega) e visto che per ogni famiglia la sparizione di mense e tempi pieni finisce comunque tutta nel conto di Maria Stella Gelmini.
Una sola considerazione finale riassume tutte le disgrazie del sindaco che doveva rovesciare la Capitale. Male interpretando un luogo comune sui romani, il barese Alemanno fin dal primo momento ha creduto che la cittadinanza caciarona e indisciplinata avrebbe gradito una bella botta di deregulation all’amatriciana. A partire dalla sanatoria delle multe e dalla ritirata dei vigili dalle strade, il messaggio implicito ma chiarissimo è stato: liberi tutti. Ne è scaturito un tale conflitto quotidiano, davvero regolato solo dalla legge della giungla urbana, che i romani ne sono esausti. Al punto di invocare, proprio loro e proprio contro un sindaco di destra: per favore, dateci un po’ di regole, ordine e disciplina.
Chiedete al tassista, ve lo confermerà. Regole per gli altri, si intende. E con un ritocchino al prezzo della corsa.