Che fine faranno le macerie dello tsunami
La storia di Minamisanriku, città distrutta dalle onde anomale che oggi ha 700 mila tonnellate di detriti da rimuovere
di Emanuele Menietti
Minamisanriku è un città del Giappone nord-orientale che lo scorso 11 marzo è stata quasi completamente rasa al suolo dallo tsunami causato dal forte terremoto di magnitudo 9 che ha colpito il paese. Oltre il 90 per cento della città, che era abitata da circa 19mila persone, è stato distrutto dalle onde anomale che hanno raggiunto anche i 16 metri di altezza. Centinaia di persone sono morte, ci sono diverse migliaia di dispersi e oltre diecimila abitanti della zona sono rimasti senza un’abitazione e sono costretti a vivere nei centri di accoglienza e di emergenza, o in altre aree del Giappone ospitati da amici e parenti. Passeranno ancora molti mesi prima che possano fare ritorno a Minamisanriku, dove da settimane si lavora per rimuovere l’enorme mole di detriti causati dallo tsunami.
Nell’area ci sono da rimuovere circa 700 mila tonnellate di macerie e c’è il serio problema di dove mettere i detriti, spiega Miranda Leitsinger su MSNBC. In città l’area distrutta occupa circa dieci chilometri quadrati e al suo interno vi si può trovare di tutto: calcinacci, automobili, frigoriferi, acciaio, cemento, abiti, vetri frantumati, condizionatori e migliaia di oggetti di plastica, legno, gomma e altri materiali. Per rimuovere tutto, dicono le autorità locali, serviranno mesi e almeno 27,4 milioni di dollari per finanziare le società che si stanno occupando della raccolta.
Il lavoro viene svolto con diversi sistemi a seconda delle macerie e delle loro dimensioni. Solitamente ruspe e pale meccaniche raccolgono i detriti più grandi, che vengono poi suddivisi a secondo dei materiali che li compongono. Poi intervengono squadre di addetti alla raccolta dei detriti di piccole dimensioni. Utilizzando pinze, punteruoli o direttamente le mani, separano i piccoli pezzi di vetro dai metalli e dalla plastica, cercando di rimuovere il maggior numero di detriti dal suolo.
Il lavoro di separazione delle macerie è fondamentale per potersi liberare di una quantità così grande di materiale. Tutto ciò che potrà essere bruciato senza pericoli per la salute verrà incenerito, mentre metalli, vetro e plastica saranno riciclati. Anche dopo queste operazioni si prevede rimarranno centinaia di tonnellate di detriti e poiché il Giappone non dispone di grandi porzioni di territorio libere, queste saranno probabilmente inviate in altri paesi che hanno deciso di accogliere i rifiuti e i detriti dello tsunami.
La prefettura di Miyagi, che comprende anche la città di Minamisanriku, sta anche progettando di utilizzare alcune isole dell’arcipelago di Matshushima come discarica per le macerie. L’area insulare è considerata uno dei posti più belli e scenografici del Giappone, ha subito danni limitati a seconda della posizione delle isole rispetto al fronte dell’onda dello tsunami e si teme che le operazioni di scarico e accumulo dei detriti possano rovinarne l’aspetto, e di conseguenza l’economia locale che si basa anche sul turismo oltre che sulla pesca.
Per gestire lo smaltimento del materiale, le autorità locali hanno anche messo a punto un piano per la costruzione di cinque nuovi inceneritori nella prefettura di Miyagi. La costruzione degli impianti richiederà però tempo e quello che servirà alla città di Minamisanriku, in costruzione nella vicina Motoyoshi, non sarà pronto prima dell’autunno del 2012. Questo significa che le società che si stanno occupando del recupero e della pulizia potrebbero essere obbligate a fermare i lavori, perché le discariche temporanee si stanno riempiendo rapidamente di detriti che non possono essere ancora inceneriti.
Inizialmente non era previsto che le discariche temporanee si riempissero così in fretta. Nelle settimane dopo lo tsunami il lavoro di raccolta e pulizia è andato avanti a rilento, perché era ancora in corso la ricerca dei corpi di chi era rimasto sotto le macerie. La ricerca delle vittime è terminata a fine maggio e da allora il lavoro di raccolta ha subito una notevole accelerazione. Takashi Abe della Abei Construction, una delle venti società cui è stato affidato il compito di ripulire Minamisanriku, coordina il lavoro di un centinaio di scavatrici e di oltre 70 camion nell’area. Ogni giorno la sua impresa trasporta l’equivalente di 500 grandi camion, ma la raccolta in alcune aree non è ancora nemmeno iniziata.
L’arrivo della stagione piovosa e calda potrebbe complicare le cose nei prossimi mesi. L’acqua ristagna tra i detriti accatastati nelle discariche temporanee, creando un ambiente ideale per zanzare e insetti infestanti, che potrebbero portare a seri problemi igienici nell’estate. Incrostate dal sale dell’acqua marina, le macerie sono anche maleodoranti e con l’esposizione diretta al calore solare rischiano di rendere l’aria irrespirabile nella zona. La presenza stessa del sale rende inoltre non riciclabile molto materiale, che dovrà essere quindi impilato nelle discariche in attesa di essere incenerito.
Il lavoro di recupero delle macerie ha comunque almeno un lato positivo: dà lavoro a diverse migliaia di persone che altrimenti sarebbero rimaste disoccupate a causa della chiusura di stabilimenti e uffici dopo lo tsunami. La maggior parte degli operatori che ripuliscono la zona sono cittadini di Minamisanriku. In molti casi sono pescatori le cui imbarcazioni sono andate distrutte a causa delle onde anomale che si sono abbattute lungo la costa. Abe offre lavoro part-time a 80 di loro, che si vanno ad aggiungere ai 300 lavoratori a tempo pieno della società: «Dandogli questo lavoro, diamo loro un po’ di speranza e denaro così da poter ricostruire insieme la nostra città».