Il Belgio è da 365 giorni senza Governo
Elio Di Rupo riprende oggi le consultazioni, mentre protesta anche il premier dimissionario da un anno
Il 14 giugno di un anno fa il Belgio si svegliava con un nuovo parlamento e i risultati delle elezioni politiche, che avrebbero dovuto far superare la crisi nata dalle dimissioni del primo ministro Yves Leterme, dopo una frattura tra partiti fiamminghi e valloni sulla definizione della circoscrizione elettorale di Bruxelles. Ma da un anno il paese si trova invece in una lunga fase di impasse istituzionale, che non è ancora terminata e che impedisce la formazione di un nuovo governo. Nel nord vinsero gli autonomisti della Nuova Alleanza Fiamminga (Nieuw-Vlaamse Alliantie, N-VA) di Bart De Wever, mentre i francofoni del Partito Socialista di Elio Di Rupo ottennero la maggioranza nel sud. Da allora con mediazioni, incontri, proposte e controproposte si cerca di dare un nuovo governo al paese, ma fino a ora nessun tentativo ha dato risultati positivi e la situazione del Belgio è divenuta oggetto di mille riflessioni sia sul destino del paese – con insistite minacce di secessione che sembrano anch’esse battute dalla stanchezza – sia sulla sua capacità di convivere con un’assenza di governo legittimato.
In questi giorni Di Rupo sta cercando di formare un governo dopo aver ricevuto per la seconda volta l’incarico esplorativo dal re Alberto II: nuovi incontri riprenderanno oggi dopo che anche un’operazione alle corde vocali ha sospeso per una settimana il suo lavoro. La difficoltà principale è data dalle richieste dei partiti fiamminghi, che vogliono l’approvazione di numerose riforme dello Stato prima di scendere a compromessi e formare un nuovo esecutivo. La vicenda racconta la crisi più grande che da anni interessa il paese, diviso sempre più nettamente tra nord e sud non solo dal punto di vista politico, ma anche da quello culturale, economico e naturalmente linguistico. I fiamminghi vedono la parte francese, mediamente più povera e arretrata, come un ostacolo al loro sviluppo. Secondo De Wever, il Belgio in questo senso è un paese ormai fallito e il leader politico spinge per maggiori autonomie fiscali e una revisione dello status della capitale Bruxelles, che ufficialmente è bilingue, ma di fatto francofona.
La situazione di stallo politico che dura da un anno ha reso necessaria la permanenza al governo del primo ministro uscente Yves Leterme, che si era dimesso a cinque mesi dall’inizio del suo mandato. Da “dimissionario” Leterme si occupa dell’ordinaria amministrazione del paese in attesa che i partiti trovino l’accordo e negli ultimi giorni si è mostrato impaziente dichiarando di esser costretto a «governare il paese, mentre gli altri si riposano sugli allori. Questo non è il normale corso delle cose». Il primo ministro dice che i partiti stanno negoziando tenendo troppo d’occhio i sondaggi, con un atteggiamento che ha portato all’immobilismo da record che dura da un anno.
Leterme ha poi fatto gli auguri a Di Rupo per il suo nuovo incarico di formare il governo. Il leader del Partito Socialista aveva ricevuto già un compito simile nel luglio del 2010 e a fine agosto aveva deciso di rinunciare, considerata l’impossibilità di trovare un accordo con i fiamminghi, determinati a non cedere sui distretti elettorali e i finanziamenti per la capitale. L’incarico fu poi affidato a Johan Vande Lanotte, ex vice primo ministro ed ex presidente del Partito Socialista fiammingo. I lavori per trovare una mediazione e formare il governo iniziarono negli ultimi giorni di novembre, ma l’8 gennaio di quest’anno, Lanotte rinunciò al mandato esplorativo.
L’unico risultato concreto fino a ora raggiunto dal Belgio è un record mondiale: quello di tempo impiegato per formare un governo dopo le elezioni politiche. Il primato apparteneva all’Iraq dopo l’invasione statunitense ed era di 249 giorni.