Le centrali nucleari, parliamone
A che punto è l'industria atomica in giro per il mondo e quali sono i punti critici
di Emanuele Menietti
Dopo il grave incidente alla centrale nucleare di Fukushima, molti paesi che utilizzano l’energia atomica hanno deciso di rivedere i loro piani energetici, cercando di rafforzare le misure di sicurezza negli impianti o adottando decisioni più drastiche – e forse difficilmente applicabili – come nel caso della Germania, che ha deciso di dismettere entro i prossimi dieci anni numerose centrali. Nel mondo ci sono tuttavia molti paesi determinati a proseguire nei loro piani per il nucleare e alcuni dispacci diplomatici svelati da Wikileaks, e pubblicati da poco da Reuters, dimostrano come scarsa preparazione e corruzione potrebbero far aumentare sensibilmente i rischi per possibili nuovi incidenti nucleari.
In un dispaccio proveniente dall’ambasciata statunitense di Hanoi del 2007, per esempio, un funzionario si dice preoccupato per le modalità in cui vengono conservate le scorie radioattive in Vietnam, un paese che da tempo ha piani molto ambiziosi sul fronte della costruzione di nuove centrali. Nel documento vengono riportate anche le parole del viceministro alla Scienza e tecnologia, Le Dinh Tien, che ammette le carenze nella gestione dei registri per le scorie e la scarsa capacità di metterle in sicurezza.
Le cose non sembrano essere promettenti nemmeno in Azerbaijan, almeno stando a un dispaccio del novembre 2008 in cui si parla di Kamaladdin Heydarov, l’uomo che potrebbe occuparsi della regolamentazione dei programmi nucleari del paese, descritto come una persona che «ha le mani dappertutto, dalle costruzioni ai servizi doganali». In India, dove l’industria del nucleare è ormai molto sviluppata e ci sono piani per costruire 58 nuovi reattori, i problemi di sicurezza non mancano. In un dispaccio del novembre 2008, il livello di sicurezza e controllo di una centrale visitata da un funzionario dell’ambasciata statunitense viene definito «discreto» con controlli poco accurati di borse e oggetti introdotti nell’impianto dai visitatori e mancanza di telecamere di sicurezza.
Le informazioni svelate da Wikileaks e riprese da Reuters sono state in parte smentite dai governi dei paesi interessati. Il Vietnam ha definito le frasi attribuite al proprio viceministro come prive di fondamento, ricordando che il paese gestisce i rifiuti radioattivi seguendo le direttive dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Le autorità dell’Azerbaijan hanno ricordato che non ci sono ancora piani precisi per la costruzione di una centrale nucleare, mentre un responsabile dell’Agenzia per il nucleare dell’India ha detto di non aver mai ricevuto reclami sulla sicurezza degli impianti e ha preferito non commentare.
Nel caso di Fukushima, spiegano su Reuters, la società che gestisce l’impianto ha perso rapidamente il controllo della situazione: il “combustibile” nucleare in tre reattori si è fuso, ci sono state esplosioni e dispersione di radiazioni. Tutto questo è accaduto in una democrazia moderna, dove gli standard di sicurezza sono alti, e viene quindi da chiedersi che cosa potrebbe accadere in un paese dove ci sono meno garanzie e maggiore instabilità politica.
Per molti, la regola numero 1 per un programma nucleare sicuro è la presenza di una autorità che abbia almeno la parvenza di essere indipendente dal governo e dalle pressioni delle imprese. I critici temono che i governi autoritari non tollerino una simile istituzione che miri ad avere una parziale indipendenza e trasparenza nei processi decisionali. Benché anche le autorità in Occidente abbiano affrontato numerose critiche per essere troppo vicine alle imprese che regolano, sono almeno aperte alle revisioni e al controllo dei media e dei governi. La corruzione dilagante in alcuni paesi in via di sviluppo potrebbe portare a tagliare dei passaggi importanti sia nella fase di costruzione che di messa in sicurezza degli impianti.
L’Arabia Saudita ha annunciato di voler costruire 16 reattori nucleari entro la fine del 2020, con un enorme piano di investimenti da almeno 100 miliardi di dollari. L’amministrazione del paese è autoritaria e fortemente personalizzata, condizioni che rendono praticamente impossibile la messa a punto di una autorità indipendente che possa vigilare sul rispetto delle regole e dei requisiti di sicurezza per le centrali atomiche.
I nuovi reattori sono mediamente più sicuri di quelli vecchi di Fukushima, ma c’è da ricordare che buona parte del disastro alla centrale nucleare giapponese è stata causata dall’improvvisa mancanza di corrente elettrica, che ha reso inutilizzabili i sistemi di emergenza per mantenere sotto controllo la temperatura all’interno dei reattori. I cali di corrente sono molto comuni nei paesi in via di sviluppo e, secondo gli esperti, questo potrebbe essere un serio problema per la sicurezza.
Anche la carenza di infrastrutture importanti come le strade potrebbe essere un problema nel momento di una emergenza nucleare, quando mezzi di soccorso, tecnici ed esperti devono poter raggiungere rapidamente l’area dell’incidente. In Vietnam, per esempio, le strade sono poco attrezzate e con una capacità inferiore rispetto all’attuale mole di traffico. E i trasporti ferroviari non sono molto migliori. Raggiungere rapidamente gli impianti in caso di emergenza sarebbe molto difficile. Così come sarebbe improponibile organizzare la rapida evacuazione delle zone più vicine alle centrali nel caso di perdite radioattive.
Un altro problema di difficile soluzione rimane quello della conservazione in luoghi sicuri, e isolati, delle scorie radioattive. Il dilemma interessa tutti i paesi che utilizzano il nucleare, ma nel caso di quelli in via di sviluppo assume a volte contorni più inquietanti. Sempre nei dispacci diplomatici degli Stati Uniti svelati da Wikileaks sul Vietnam si citano alcune frasi del viceministro Tien, dove ammette la necessità di creare un nuovo sito per i rifiuti nucleari e di «migliorare i controlli legati alle importazioni e alle esportazioni di materiale radioattivo». Viene quindi da chiedersi dove il paese immagazzinerà i propri rifiuti nucleari quando avrà la prima centrale definitivamente operativa. Le autorità dicono di avere un piano fino al 2030 per la loro gestione e una estensione dello stesso fino al 2050.
Pham Duy Hien, uno dei più grandi esperti di energia nucleare del Vietnam ed ex direttore del Dalat Nuclear Institute, ritiene una «cosa da pazzi» l’idea di costruire otto nuovi reattori nel paese nel corso dei prossimi dieci anni: «Non abbiamo la forza lavoro adatta, non abbiano le conoscenze necessarie e non abbiamo esperienza». Secondo Hien, inoltre, quella del nucleare di terza generazione più sicuro delle precedenti è una favola, perché la sicurezza di un impianto nucleare «non dipende tanto dal suo equipaggiamento, dagli aspetti tecnici e dal progetto, quanto principalmente dalle persone che lo gestiscono».
La richiesta di energia su scala globale è però in costante crescita, complice il rapido sviluppo di numerosi paesi specialmente in Asia, e al momento la via più battuta rimane quella di progettare e costruire nuove centrali nucleari. Stando ai dati della World Nuclear Association, prima dell’incidente di Fukushima, i nuovi reattori in costruzione erano almeno 62, principalmente in Cina, India e Russia. A questi si aggiungevano 158 nuovi reattori già programmati e la proposta per la costruzione di altri 324. Il dato è interessante perché dà il senso di come l’industria nucleare fosse in piena risalita, dopo essere rimasta sostanzialmente ferma per una decina di anni: nel 2008 erano operativi 438 reattori in tutto il mondo, lo stesso numero registrato nel 1996.
Le Nazioni Unite hanno affidato da tempo all’AIEA il compito di vigilare sulla costruzione e la sicurezza degli impianti nucleari in tutto il mondo. L’istituzione può, però, fornire indicazioni e linee guida, ma non ha alcun potere per imporre nuove regole o sanzionare direttamente i paesi che non osservano le sue indicazioni. Il caso di Fukushima è in questo senso emblematico: l’AIEA si è mostrata impotente, anche nel richiedere maggiore trasparenza da parte del governo giapponese su quanto stava accadendo nella centrale.
Quelli che fanno affari con l’energia nucleare dicono che l’incidente di Fukushima non cambia le cose. Nel corso di una conferenza a Chicago nel mese di aprile, i rappresentanti dell’industria atomica hanno passato il tempo a rassicurare il pubblico, preoccupato per quanto accaduto a Fukushima, accusando anche i mezzi di comunicazione di aver ingigantito le effettive dimensioni del disastro. «Dobbiamo riconoscere che la paura è reale e dobbiamo confrontarci con questa», ha dichiarato Richard Myers del Nuclear Energy Institute, poco prima di andare all’attacco della «disinformazione velenosa cui siamo stati esposti da parte di alcuni media».