Cesare Battisti è libero
Il Brasile nega la richiesta di estradizione dell'Italia: le cose da sapere su una storia lunga, intricata e controversa
di Francesco Costa
Il Supremo Tribunal Federal, la più alta istituzione giurisdizionale del Brasile, ha votato a maggioranza, sei giudici contro tre, contro l’estradizione di Cesare Battisti in Italia. Battisti è tornato quindi libero, dopo quattro anni e 52 giorni di detenzione. Il tribunale brasiliano ha inoltre stabilito che l’Italia non aveva competenza per chiedere a Lula di non concedere l’asilo politico a Battisti, trattandosi questa di “una questione di sovranità nazionale” e quindi di competenza del potere esecutivo e non di quello giudiziario.
Il Post aveva raccontato l’intera storia in un articolo dello scorso 30 dicembre. La lunga e controversa vicenda giudiziaria di Cesare Battisti è allo stesso tempo storica, giudiziaria e diplomatica. Comincia nel 1977, in un anno particolare e delicato della storia d’Italia, e negli anni ha coinvolto la Francia, il Messico e il Brasile. Ed è piena di punti ancora molto dibattuti, di cose poco chiare e altre che vengono date per scontate e non lo sono. Cominciamo dall’inizio.
Chi è Cesare Battisti
Cesare Battisti è nato nel 1954 in provincia di Latina. La sua adolescenza è movimentata e burrascosa: lascia le scuole superiori nel 1971 e si fa conoscere dalle forze dell’ordine perché protagonista di piccoli crimini: nel 1972 viene arrestato per una rapina, due anni dopo viene arrestato di nuovo per rapina con sequestro di persona. Finisce di nuovo in carcere nel 1977, sempre per rapina, ed è lì che conosce Arrigo Cavallina, fondatore di un gruppo terrorista di estrema sinistra chiamato Proletari armati per il comunismo (d’ora in poi, PAC). Uscito dal carcere si trasferisce a Milano e partecipa attivamente alle azioni dei PAC.
I Proletari armati per il comunismo
Le azioni dei PAC consistono in rapine a banche e a supermercati (“espropri proletari”, dice il gruppo), sabotaggi alle fabbriche, aggressioni (vari medici e agenti carcerari vennero gambizzati nel 1978) e omicidi. Per quattro di questi omicidi i processi riconosceranno la partecipazione, diretta o indiretta, di Cesare Battisti. Ed è qui che le cose si fanno complicate. Intanto basti sapere che i processi relativi a quegli omicidi si celebreranno senza la presenza di Battisti che, arrestato nel 1979, evade nel 1981 e lascia l’Italia, per non tornarci più.
I quattro delitti
Sono quattro, quindi, gli omicidi nei quali Cesare Battisti risulta essere coinvolto. Il 6 giugno del 1978 viene ucciso Antonio Santoro, maresciallo della polizia penitenziaria, accusato dai PAC di avere maltrattato e torturato alcune persone detenute. Le sentenze diranno che Battisti sparò a Santoro insieme a una complice. Il 16 febbraio del 1979 in provincia di Venezia viene ucciso Lino Sabbadin, un macellaio. Le sentenze diranno che Battisti agì da “copertura armata”. Lo stesso giorno, a Milano, viene ucciso il gioielliere Pierluigi Torregiani. Secondo le sentenze Battisti fu tra gli ideatori e gli organizzatori dell’agguato. Nel corso di questa sparatoria, un colpo sparato dal gioielliere ferisce suo figlio quindicenne, Alberto Torregiani, che passerà il resto della sua vita su una sedia a rotelle. Oggi Alberto Torregiani è uno dei più forti sostenitori dell’estradizione per Cesare Battisti. Sia Sabbadin che Torregiani nei mesi precedenti alla loro morte avevano ucciso dei rapinatori difendendosi durante dei tentativi di rapina. Il 19 aprile del 1979 a Milano, viene ucciso l’agente della DIGOS Andrea Campagna. Secondo le sentenze, Battisti è stato l’esecutore materiale dell’omicidio.
I processi
Battisti è fuggito dall’Italia prima che i processi prendessero inizio, quando era in carcere per scontare una condanna per possesso illecito di armi. È andato prima in Francia, poi in Messico, poi di nuovo in Francia, protetto dalla cosiddetta dottrina Mitterrand: una politica con cui la Francia dava ospitalità e sicurezza a ex terroristi italiani purché questi lasciassero la lotta armata e la violenza. Abolita la dottrina Mitterrand e annunciata la sua estradizione in Italia, Battisti scappa in Brasile: lì viene arrestato nel marzo del 2007. Battisti quindi non ha partecipato alla sua intera fase processuale, perché latitante: diceva di non riconoscersi nel sistema giudiziario italiano e si professava innocente. È stato quindi processato in contumacia, dando mandato per la sua difesa ad alcuni avvocati.
Le sentenze
La ridondanza della formula “secondo le sentenze” si rende necessaria dal momento che l’esito della vicenda processuale di Battisti, per quanto conclusa in modo definitivo con la condanna a due ergastoli, è poco chiara. Non è in discussione la partecipazione di Battisti alle azioni dei PAC né il frequente ricorso del gruppo alla violenza armata, che Battisti stesso ha ammesso. Ma ci sono cose poco chiare nelle ricostruzioni dei delitti che hanno portato alle condanne, che sono frutto quasi esclusivamente delle testimonianze fornite da altri membri dei PAC, soprattutto da uno di questi, Pietro Mutti, che ha cambiato più volte versione, prima e dopo il processo. Nel caso dell’omicidio di Andrea Campagna, per esempio, un altro membro dei PAC ha confessato di avere commesso l’omicidio con un suo complice, secondo i testimoni oculari alto e biondo. Mutti individua in quel complice Battisti, che alto e biondo non è. Tutt’ora esiste un robusto movimento d’opinione che si batte per l’innocenza di Cesare Battisti, sostiene che Mutti lo abbia accusato per garantirsi degli sconti di pena e chiede quindi che i processi vengano ripetuti.
Le richieste di estradizione
Finché la dottrina Mitterrand rimane in piedi, le richieste di estradizione presentate dall’Italia cadono sistematicamente nel vuoto: secondo la Francia, le legislazioni di emergenza approvate dall’Italia durante gli anni del terrorismo erano inique e non conforme agli standard degli altri paesi europei. Nel 2004, però, durante la presidenza Chirac, la Francia concede l’estradizione. Battisti presenta ricorsi al Consiglio di stato francese, alla Corte di Cassazione italiana e alla Corte europea dei diritti dell’uomo: tutti vengono respinti. Scappa, come abbiamo detto. Viene arrestato nel 2007 a Copacabana, in Brasile, dove però nel 2009 gli viene accordato lo status di rifugiato politico: il ministro della giustizia brasiliano, Tarso Genro, ritiene che in Italia l’incolumità di Cesare Battisti sarebbe in pericolo per via delle sue idee politiche. Questo nonostante il parere favorevole all’estradizione del CONARE, il Comitato nazionale per i rifiugiati, che si era opposto al riconoscimento dello status di prigioniero politico. Siamo quasi ai giorni nostri, e ricorderete le polemiche tra il governo italiano e quello brasiliano. Battisti in questi anni è rimasto in custodia in un carcere brasiliano.
Cosa dice Battisti
Cesare Battisti, che nel frattempo ha intrapreso una carriera di scrittore e traduttore, ha continuato a dirsi innocente relativamente ai reati per cui è stato condannato, seppure non esprimendo mai pentimento per la sua appartenenza ai PAC e alla lotta armata. Ha detto che negli anni Settanta in Italia c’era «una guerra», e che forse lui è stato «maldestro». Ha detto di avere paura del sistema giudiziario italiano: «non andrò in Italia, non arriverò vivo in italia, ho troppa paura. Ci sono cose che si possono ancora scegliere come il momento della propria morte». Nel febbraio del 2009, però, ha scritto una lettera aperta chiedendo «se non sia giunta l’ora che l’Italia mostri il suo lato cristiano, per il quale il perdono è un atto di nobiltà».
La risposta dell’Italia
Il 27 febbraio del 2009 la Camera dei deputati vota all’unanimità una mozione che chiede un intervento del governo per ottenere dal Brasile la revoca dello status di rifugiato politico di Cesare Battisti. Sia il presidente della Camera Gianfranco Fini che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, scrivono al presidente brasiliano Lula esprimendo stupore e rammarico per la decisione del suo governo. La questione evidentemente era diventata duplice: la risoluzione della vicenda di Battisti e la difesa del sistema giudiziario italiano. Lula però non torna indietro e il caso sembra chiuso.
La decisione finale
Il 18 novembre 2009 il Supremo Tribunal Federal, la più alta istituzione giurisdizionale del Brasile, ha considerato illegittimo lo status di rifugiato politico concesso a Cesare Battisti dal governo brasiliano. La sentenza, per quanto favorevole ad assecondare la richiesta di estradizione presentata dall’Italia, lascia però alla presidenza della repubblica la decisione finale. Le motivazioni della sentenza vengono pubblicate il 16 aprile del 2010. Lula si è preso tutto il tempo necessario per decidere, chiedendo diversi pareri legali e chiarendo che non avrebbe lasciato la decisione alla presidente Dilma Rousseff, che si sarebbe insediata solo il primo gennaio e aveva detto di essere favorevole all’estradizione di Battisti.
Il 30 dicembre 2010 l’avvocatura generale del governo ha dato parere contrario e il presidente brasiliano Lula, nell’ultimo atto ufficiale della sua presidenza, ha negato l’estradizione. Il governo italiano ha detto che la motivazione è “inaccettabile” e che il Brasile “dovrà spiegarlo agli italiani”. In Italia, sia la maggioranza che l’opposizione chiedono che il Brasile rispetti il trattato bilaterale in vigore e conceda l’estradizione. Dopo il suo insediamento, la nuova presidente brasiliana Dilma Rousseff aveva chiesto il nuovo esame da parte del Supremo Tribunal Federal.
foto: EVARISTO SA/AFP/Getty Images