Il riassunto dello Yemen
Come siamo arrivati all'attentato contro Saleh e cosa potrebbe succedere d'ora in poi
di Elena Favilli
L’attacco al palazzo presidenziale di Sanaa ha improvvisamente riportato l’attenzione su quello che sta succedendo in Yemen, di cui la stampa internazionale – concentrata su Libia e Siria – si era occupata più distrattamente nelle ultime settimane. Secondo le ultime indiscrezioni, le ferite riportate dal presidente Saleh sarebbero molto più gravi del previsto e potrebbero costringerlo a rimanere lontano dallo Yemen per alcuni mesi, facilitando le cose per l’opposizione. Oggi però il governo ha rifiutato la proposta dell’opposizione di avviare le trattative per una transizione politica che porti a nuove elezioni, insistendo nel dire che nessuna trattativa potrà essere avviata finché Saleh non sarà tornato in Yemen. Proviamo allora a fare il punto della situazione, ripartendo dall’inizio.
Le proteste
Le prime manifestazioni di protesta contro il governo di Ali Abdullah Saleh sono iniziate alla fine di gennaio, sull’onda di quanto stava accadendo in Egitto e Tunisia. Migliaia di persone hanno iniziato a occupare le strade della capitale Sanaa e poi di molte altre città del paese protestando contro la crescente povertà e contro la corruzione e la censura del governo. Il presidente Saleh – al potere da trentadue anni – aveva inizialmente cercato di placare la rivolta annunciando alcune timide concessioni, ma vedendo che le proteste continuavano a rafforzarsi non aveva esitato a fare intervenire l’esercito. Un mese fa Saleh ha rifiutato di firmare l’accordo proposto dal Consiglio di cooperazione del Golfo Persico, l’organizzazione degli stati della regione, che prevedeva le sue dimissioni in cambio dell’immunità legale. L’accordo sembrava cosa fatta ma poi era improvvisamente saltato.
La svolta dell’esercito
La situazione è cambiata in favore dei manifestanti a fine marzo, quando una parte dell’esercito ha deciso di abbandonare il governo e passare dalla parte della popolazione in rivolta. La svolta dell’esercito era arrivata dopo il massacro del 18 marzo: cinquantadue persone furono uccise dalle forze dell’ordine che avevano sparato sulla folla riunita in una piazza vicina all’università della capitale. Il generale a capo della prima divisione blindata dell’esercito, Ali Mohsen Saleh, aveva annunciato che i suoi soldati sarebbero stati dispiegati nella capitale Sanaa per proteggere la popolazione.
L’attacco al palazzo presidenziale
Il 3 giugno Ali Abdullah Saleh è rimasto ferito nell’attacco contro il palazzo presidenziale della capitale Sanaa. Inizialmente si era parlato di alcuni colpi di mortaio che avrebbero raggiunto la moschea in cui il presidente stava pregando insieme ad altri alti funzionari del governo, ma secondo le ultime ricostruzioni sembra più probabile che l’esplosione sia stata causata da una bomba. Il che lascia ipotizzare un possibile coinvolgimento di membri interni al palazzo. Tre guardie presidenziali e l’imam della moschea sono morti nell’attentato, almeno sette alti funzionari di governo sono rimasti feriti. Gli scontri nella capitale si erano intensificati in seguito all’attacco della casa del principale leader dell’opposizione, Sadeq Al-Ahmar. Il governo ha accusato la sua tribù, Hashed, di essere responsabile dell’attentato.
Le condizioni di Saleh
Poco dopo l’attentato Saleh è stato trasferito in Arabia Saudita per essere sottoposto a ulteriori cure mediche. Il presidente ha diffuso un messaggio audio in cui diceva di essere vivo e in buone condizioni di salute, ma secondo le ultime notizie di oggi le sue ferite sarebbero molto più gravi del previsto e potrebbero costringerlo a rimanere lontano dallo Yemen per alcuni mesi. Saleh avrebbe riportato una grave ferita all’altezza della nuca e ustioni sul quaranta percento del corpo. I medici sauditi avrebbero parlato della necessità di sottoporlo ad altri sei interventi chirurgici nelle prossime settimane.
Le conseguenze politiche
Se le condizioni di Saleh dovessero davvero tenerlo a lungo lontano dallo Yemen, per l’opposizione diventerebbe più facile ottenere le sue dimissioni e avviare una transizione di potere. Negli ultimi giorni per le strade di molte città del paese i manifestanti hanno festeggiato la notizia del ferimento di Saleh e del suo trasferimento in Arabia Saudita. Gli Stati Uniti vorrebbero che fossero proprio gli alleati sauditi a guidare questa delicata fase di transizione politica, per evitare che un improvviso vuoto di potere faccia precipitare il paese in una guerra civile che rischierebbe di rafforzare i gruppi estremisti. Saleh è stato un alleato prezioso per gli Stati Uniti nella lotta contro le cellule yemenite di Al Qaida, e ora il governo americano teme che senza una transizione guidata il potere possa finire nelle mani di leader meno disposti a collaborare.
Chi viene dopo
Come previsto dalla Costituzione dello Yemen, il potere è ora passato nelle mani del vicepresidente Adeb-Rabbo Mansour Hadi. Hadi è appoggiato da parte dell’opposizione e dell’esercito e al momento sembra essere la figura con più probabilità per guidare una transizione del paese verso nuove elezioni. Le altre due figure politiche più rilevanti in questo momento sono Sadeq al-Ahmar, leader della tribù Hashed, e il generale Ali Mshen al-Ahmar, che aveva abbandonato Saleh a marzo. Entrambi sembrano essere favorevoli a una transizione guidata da Hadi, che non avrebbe nessuna intenzione di candidarsi alla presidenza della nazione.