È morto Enzo Del Re
Era un fantasioso cantautore pugliese, autore di "Lavorare con lentezza" e grande suonatore di sedie
È morto oggi per un infarto Enzo Del Re, nella sua casa di Mola di Bari. Era un cantautore di grande popolarità soprattutto nei movimenti di sinistra degli anni Settanta, ma era stato inventivo tutta la vita. Era nato nel 1944 e sapeva suonare ogni cosa, e soprattutto il proprio corpo. Nel 2004 la sua canzone “Lavorare con lentezza” diede il titolo a un film di Guido Chiesa, e Corrado Sannucci lo raccontò su Repubblica.
Forse non finirà in classifica, ma comunque sentir fischiettare dagli spettatori “Lavorare con lentezza” all’uscita del film di Guido Chiesa è una tardiva, parziale ma anche affettuosa ricompensa per Enzo Del Re, uno dei cantastorie dimenticati della musica popolare italiana. E il fatto che nel film la canzone accompagni lo scavo sotto terra dei due balordi non potrà che avergli fatto piacere, a lui che della lotta a ogni potere ha fatto una bandiera radicale, ultimativa, inflessibile, fino ad autoescludersi da ogni circuito commerciale.
Ma quello che adesso risuona come un ironico ritornello era però stato un hit negli ambienti della sinistra rivoluzionaria e in quelle che allora si chiamavano le “feste del proletariato giovanile”. E la canzone era tratta da un Lp che si era stampato da solo, con canzoni non depositate alla Siae, ente che egli odiava massimamente, così come l’Inps, le aziende municipalizzate dei trasporti pubblici e la Rai. E quel disco, ormai una rarità da antiquario conservato gelosamente da chi lo possiede, vecchi militanti per lo più di Lotta Continua, aveva un«indimenticabile copertina gialla, che non sarà diventata famosa come quella della mucca dei Pink Floyd, ma che ha lasciato un ricordo indelebile in chi l’aveva avuta tra le mani e ne aveva ascoltato le canzoni.
Tutto in Del Re era al di fuori di ogni schema, a cominciare dello strumento per accompagnarsi, la sedia, che egli percuoteva ritmicamente tenendone la parte piatta tra le gambe. Ne nascevano ritmi ipnotici, sui quali modellava il suo canto, con una voce calda, profonda, ammaliante, perfettamente intonata. Nonostante la sua ideologia ferrata (per un certo periodo girava con due valigie piene di libri di Mao) le sue canzoni hanno sempre avuto un tono lieve, con giochi di parole, scherzi onomatopeici, invettive bizzarre ai potenti, aforismi, (“Adoro il lavoro ma detesto la fatica”) che bene si miscelavano all’accompagnamento del tamburo di legno, un suono materico che ora era cabaret, ora propaganda, ora coscienza dolorosa.
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