Il ritorno di Manuel Zelaya
L'ex presidente Manuel Zelaya è tornato in Honduras dopo un anno e mezzo di esilio
di Emma Volonté
Ieri l’ex presidente dell’Honduras Manuel Zelaya è arrivato nella capitale Tegucigalpa accolto da migliaia di persone. Domenica scorsa a Cartagena de Indias, in Colombia, grazie alla mediazione del presidente colombiano Santos e del venezuelano Chávez, era stato firmato un accordo per consentirne il rientro dall’esilio. In cambio, il presidente honduregno Porfirio Lobo Sosa otterrà la reintegrazione del paese nell’OSA (Organizzazione Stati Americani), da cui l’Honduras era stato espulso in seguito al colpo di stato del 2009.
Zelaya, in esilio a Santo Domingo da più di un anno e mezzo, era stato deposto nel giugno 2009 con un colpo di stato organizzato dall’oligarchia del paese centroamericano. L’avvicinamento dell’ex presidente ai paesi progressisti dell’ALBA (Alternativa Bolivariana para las Américas) e il tentativo di indire una consulta popolare sull’elezione di un’Assemblea Costituente spaventarono i grandi gruppi economici del paese e le imprese straniere, che in Honduras fanno grandi affari.
Il ritorno di Zelaya è stato salutato con grande favore dalla comunità internazionale, ma non cambia il fatto che l’elezione di Lobo, pochi mesi dopo il golpe, sia avvenuta in uno stato di assoluta mancanza di trasparenza e di garanzie costituzionali, e che per questo non sia mai stata riconosciuta dai paesi latinoamericani.
L’accordo firmato a Cartagena che ha consentito il rientro di Zelaya prevede tra le altre cose che il governo permetta la partecipazione alle prossime elezioni del Frente Nacional de Resistencia Popular, coalizione antigolpista che si è creata l’indomani del colpo di stato, e di cui Zelaya è coordinatore generale. Ma in un paese in cui l’oligarchia che ha messo in atto il golpe – dieci famiglie che controllano l’80% della ricchezza – ha in mano l’intero sistema economico e le istituzioni, è difficile poter sperare in un processo elettorale realmente trasparente e democratico. Alfredo López, vicepresidente dell’organizzazione OFRANEH, che fa parte del Frente Nacional de Resistencia Popular, in un’intervista che mi ha rilasciato a febbraio ha affermato: “Quando parliamo di rifondare il paese non stiamo parlando di una via elettorale. Non c’è nessuna possibilità di vincere, anche se avessimo la maggioranza dei voti non vinceremmo, perchè truccherebbero i risultati: se la Corte Suprema è composta dai golpisti, e anche la Procura e il Tribunale Elettorale, non c’è speranza di vittoria”.
Al di là dell’importanza simbolica del ritorno di Zelaya, chi davvero guadagnerà dall’accordo firmato a Cartagena sarà l’attuale presidente Lobo: la reintegrazione nell’OSA significa 600milioni di dollari in aiuti, e il riconoscimento da parte della comunità internazionale della democraticità del regime che governa l’Honduras, paese in cui la violazione dei diritti umani e la repressione politica sono brutali.