Gli affari degli Stati Uniti con la Guinea Equatoriale
Tutto ruota intorno al petrolio, e a un regime al potere dal 1979
Gli stati occidentali fanno spesso affari con governi di cui si conoscono apertamente abusi e sopraffazioni. La Libia di Gheddafi è sicuramente uno degli esempi più calzanti in questo momento ma la lista è molto lunga, a cominciare dall’Arabia Saudita. Raramente però si sente parlare a questo proposito della Guinea Equatoriale, il quarto maggiore esportatore di petrolio in Africa e uno dei paesi in cui le aziende petrolifere americane hanno investito di più negli ultimi anni. Il New York Times è andato a vedere come ci si vive, e quali compromessi bisogna accettare se si è disposti a farci affari.
La Guinea Equatoriale è governata da oltre trent’anni dal regime di Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, uno dei più repressivi al mondo secondo i rapporti di molte organizzazioni umanitarie internazionali. La tortura è usata sistematicamente come mezzo di repressione di qualsiasi forma di opposizione e gli arresti sono all’ordine del giorno. Il mese scorso i leader dell’opposizione sono stati arrestati per avere affisso un manifesto che invitava a partecipare a una marcia di protesta contro il presidente. Obiang aveva preso il potere nel 1979 con un violento colpo di stato militare. Nel 2009 ha vinto le ultime elezioni con oltre il 95 percento dei voti.
Fare un giro nel quartiere sbagliato significa finire dritti alla polizia. Fare una visita all’unico membro dell’opposizione presente in parlamento significa finire subito schedati dai servizi segreti. Esiste un solo giornale, pubblicato dal governo. «Qualsiasi poliziotto può arrestare qualsiasi cittadino in qualsiasi momento», racconta Placido Micò, un membro dell’opposizione che è già stato arrestato molte volte. Nonostante questo i diplomatici americani hanno cercato di dare una versione molto più rosea delle cose in Guinea. L’attuale ambasciatore ha difeso Obiang contro le statistiche della Banca Centrale e delle organizzazioni umanitarie, che mostrano l’enorme disuguaglianza sociale del paese.
La presenza americana qui è discreta ma vitale e Obiang professa sempre grande amore per gli Stati Uniti. Chevron, Marathon Oil e Noble Energy hanno notevoli interessi in Guinea e tutto il mare intorno all’isola di Bioko, quella in cui si trova la capitale Malabo, è piena di piattaforme petrolifere americane. C’è poi un’altra cosa che ha molto insospettito le organizzazioni umanitarie: nel 2005 la MPRI, un’agenzia militare privata con sede in Virginia, ha iniziato a operare nel paese e a collaborare con la polizia locale con un contratto da 250 milioni di dollari. MPRI si è limitata a dire che è stata chiamata dal governo della Guinea Equatoriale per «fornire sicurezza lungo la costa». Eppure durante l’ultimo tentativo di golpe del 2009, il palazzo presidenziale di Obiang fu attaccato proprio da un gruppo di uomini armati arrivati via mare.
Sulla carta, se si considera il reddito pro capite, i cittadini della Guinea Equatoriale sono ricchi quasi quanto quelli spagnoli e italiani. Ma in realtà quasi il 77 percento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Obiang, che compirà settanta anni il prossimo mese e che aveva ricevuto una ferrea educazione militare nella Spagna franchista, insiste nel dire che gli Stati Uniti sono un suo alleato e che se ci sono state esecuzioni sommarie di recente contro i suoi cospiratori è stato solo perché nel paese vige ancora il vecchio sistema giuridico spagnolo.