Le novità sulla strage di Viareggio
Cosa c'è nelle carte della procura raccontate dall'Unità, riguardo l'incidente che nel 2009 uccise 33 persone
Il 29 giugno del 2009 alle 23,48 un treno merci ha deragliato all’interno della stazione di Viareggio. I suoi quattordici carri cisterna contenevano GPL, gas propano liquido. La prima cisterna si spacca durante il deragliamento: il gas fuoriesce, prende fuoco a contatto con l’ossigeno e genera un incendio devastante. Muoiono trentatré persone: undici sul colpo, investite dalle fiamme o dalle macerie degli edifici crollati, due per infarto, le altre nei giorni successivi a seguito delle gravi ustioni. Oggi sappiamo che il convoglio è deragliato a causa del cedimento di un asse del carrello del primo carro cisterna.
È in corso un’inchiesta, condotta dalla procura di Livorno. Ci sono degli indagati, trentotto, e tra questi c’è l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti. I nodi da sciogliere sono due, in estrema sintesi. Il primo è la qualità e l’attenzione delle revisioni effettuate sul carrello che ha ceduto, dando inizio al deragliamento. Il secondo ha a che fare con le ragioni della dispersione del gas: la polizia ferroviaria e la procura di Luca sostengono che la cisterna sia stata perforata da un picchetto di regolazione delle curve, abbattuto durante il deragliamento. In questo caso le Ferrovie dello Stato potrebbero essere ritenute responsabili di aver posizionato un oggetto tagliente e potenzialmente pericoloso lungo un tragitto percorso da treni merci con carichi delicati e instabili. Ferrovie dello Stato sostiene invece che la cisterna abbia ceduto a seguito dello scontro col componente di uno scambio, detto “zampa di lepre”, e in generale di non avere alcuna responsabilità in merito a quanto accaduto.
Oggi l’Unità torna sulla storia dell’incidente e sui due nodi da sciogliere, rivelando il contenuto di alcuni approfondimenti effettuati della procura. Roberto Rossi scrive che tutto ruota attorno a tre parole: “Procedura di cabotaggio”.
Secondo una definizione utilizzata dalla Procura di Lucca, che in questi giorni ha in corso due incidenti probatori, il cabotaggio altro non è che l’utilizzo della rete ferroviaria da parte di materiale rotabile immatricolato all’estero e che circola da e per stazioni italiane, in altre parole utilizzato per il trasporto interno. E qualsiasi cosa si muova nella nostra rete ferroviaria ed è forgiato fuori confine (a meno che non sia francese o tedesco) deve essere controllato. Anche i carri cisterna utilizzati per il trasporto di materiale pericoloso. Che sono sottoposti, poi, a una procedura particolare emanata l’8 luglio 2003. Si chiama proprio «Procedura operativa per la messa in servizio sulla rete ferroviaria italiana di contenitori cisterna e carri cisterna utilizzati per il trasporto di merci pericolose». In gergo «Procedura di Cabotaggio». Si parte da qui.
Il carro cisterna deragliato a Viareggio era stato prodotto in Polonia quindi doveva essere sottoposto alla procedura di cabotaggio. Il controllo è stato chiesto da “Trenitalia Divisione Cargo” ed effettuato da Ce.s.i.fer, “una struttura deputata alla sicurezza allora dipendente da Rete Ferroviaria Italiana”, nel febbraio del 2009, pochi mesi prima dell’incidente. Trenitalia però chiese di ispezionare solo la cisterna, non tutto il carro: quindi non la parte inferiore, non la struttura, i freni e gli organi di aggancio.
Era tenuta a farlo? Era tenuta a controllare anche il resto? Secondo la «Procedura di Cabotaggio», sì. Al punto II.4.3, si legge: «Il tecnico ispettivo (…) accertate le condizioni di manutenzione del carro, lo stato di conservazione del serbatoio (…) certifica (…) la conformità del carro cisterna in esame». Quindi, di tutto il carro non solo la parte superiore. Le Ferrovie diedero, però, indicazioni diverse.
Trenitalia disse che il controllo dell’intero carro contrastava con la normativa internazionale, che non lo ritiene necessario. Secondo la procura di Lucca la “normativa internazionale”, però, non esclude controlli a tutto il carro e comunque non può sostituire la normativa nazionale ancora in vigore. C’è un altro dettaglio non da poco, però: l’intero carro era stato sottoposto a un controllo completo otto mesi prima dell’incidente, nel novembre del 2008.
Secondo la documentazione presentata da Gatx, proprietaria dei carri, la revisione avvenne nell’Officina 104 Jungenthal. Ma quelle carte, forse, non raccontano il vero. Quando il treno deragliò nella stazione di Viareggio piegandosi su un fianco a 90 chilometri all’ora di velocità, l’asse 85890 rimase sotto il treno, l’altro, il numero 98331, quello che cedette, schizzò invece lontano in una zona non investita dal fuoco. I magistrati lo trovarono impigliato nella rete di protezione di un serbatoio, situato di fianco al magazzino degli impianti elettrici, non compromesso dall’ondata di calore. Un colpo di fortuna. Perché i magistrati scoprirono che l’asse collassato, aveva una vistosa coltre di ruggine e pochissima vernice. Al contrario dell’altro asse visibilmente verniciato e privo di ruggine nonostante fosse stato investito dall’ esplosione e dal fuoco. Perché, quindi, l’asse collassato, revisionato da appena otto mesi, non era verniciato? E perché presentava, come ricorda Laurino, «della ruggine diffusa, sintomo di ossidazione pregressa e non di danneggiamento causato» tanto da affermare «pacificamente che c’erano danni da corrosione»? Forse perché quella revisione non era mai avvenuta. E questo porta a un’altra domanda: se i magistrati hanno accertato a occhio nudo lo stato di obsolescenza di alcuni parti fondamentali del carro forse un semplice esame visivo condotto da Ce.s.i.fer, allora struttura di Fs, avrebbe portato alle stesse conclusioni e all’adozione di misure idonee. Quel danno «avrebbe dovuto essere notato».
L’Unità pubblica anche alcune foto della ruggine sull’asse e sul carro. E fornisce un aggiornamento sul secondo nodo dell’inchiesta, la ragione della foratura della cisterna da cui è uscito il gas.
Dalle verifiche geometriche sulla dimensione e caratteristiche del foro, pare che possano essere causate solo dal picchetto di ferro e non da un componente del deviatoio, chiamato in gergo «zampa di lepre», come sostenuto da Fs, perché quest’ultimo avrebbe prodotto al massimo un taglio e non sarebbe stato in grado di provocare un buco così rilevante. E la foratura della cisterna non sarebbe avvenuta se i picchetti di acciaio ritenuti pericolosi fossero stati rimossi. Infatti già da qualche anno Rete Ferroviaria Italiana li aveva classificati pericolosi, tant’è che non erano più stati adottati sulle nuove linee ad alta velocità.
foto: STR/AFP/Getty Images