La sconfitta dei comunisti nel Bengala Occidentale
Il più longevo governo comunista del mondo, tra quelli eletti democraticamente, ha perso malamente le ultime elezioni
Il Bengala Occidentale è uno stato nel nordest dell’India, al confine con il Bangladesh. Ha 91 milioni di abitanti, una volta e mezzo la popolazione italiana, e la sua capitale è Kolkata (già Calcutta). La regione è prevalentemente agricola e le zone settentrionali sono economicamente arretrate, ma molte industrie, banche e aziende di telecomunicazioni hanno fondato sedi a Kolkata e negli ultimi anni il suo prodotto interno lordo è cresciuto anche più in fretta dei ritmi a due cifre della media nazionale.
Dal punto di vista politico, il Bengala Occidentale è governato da un primo ministro, che ha il potere esecutivo, mentre il ruolo legislativo è svolto da un parlamento unicamerale composto da 295 seggi. Dal 1977 il maggior partito era sempre stato il Partito Comunista dell’India-Marxista (PCM), che si chiama così, con tanto di precisazione, dopo la scissione dal Partito Comunista Indiano nel 1964. Si tratta del più longevo governo comunista del mondo tra quelli eletti democraticamente.
Le ultime elezioni del Bengala Occidentale, però, hanno interrotto bruscamente il record. Le operazioni di voto si sono svolte in più fasi, con i distretti elettorali che hanno votato in sei date diverse tra il 18 aprile e il 10 maggio. Il 13 maggio sono stati resi pubblici i risultati: più del 60% dei voti è andato al Trinamool Congress Party (TMC), guidato da Mamata Banerjee e alleato del Congress Party attualmente al governo in India. Il TMC ha ottenuto ben 225 seggi del parlamento del Bengala Occidentale e a Banerjee andrà quasi certamente l’incarico di primo ministro. Si è trattato di un voto di protesta contro il lento declino del partito comunista, dato che il messaggio politico del TMC e della sua leader si sintetizza nella dura opposizione all’ex partito di governo.
La notizia è stata accolta da manifestazioni di gioia da parte dei sostenitori di Mamata Banerjee, che la chiamano “Didi” (“sorella maggiore”). Una donna minuta e sempre vestita con un semplice sari e un paio di sandali di plastica, ma con una volontà di ferro, che oggi ha 56 anni e da circa venti è impegnata in politica e, più precisamente, nelle prime file dell’opposizione al Partito Comunista. In molti si chiedono se sarà in grado di governare un paese che ha più abitanti della Germania e dove il confronto politico ha spesso risvolti violenti: il PCM gestisce anche campi militari nelle zone rurali, ufficialmente per combattere i guerriglieri maoisti. La stessa Banerjee ha avuto il cranio fratturato da un sostenitore del Partito Comunista, poco dopo aver fondato il suo partito nel 1998. Banerjee ha anche rivestito incarichi nel governo nazionale indiano, ma ha rassegnato più volte le dimissioni e ha suscitato diverse polemiche. Attualmente è ministro delle ferrovie.
Il voto si è tenuto il mese scorso e ha riguardato altri quattro stati indiani per un totale di 140 milioni di elettori; in tutti gli stati il Congress Party e i suoi più stretti alleati nel governo di New Delhi hanno registrato pesanti sconfitte e ridimensionamenti, pagando per i diversi scandali che li hanno colpiti negli ultimi mesi. L’ultima tornata elettorale significa molto a livello nazionale. Per prima cosa segnala il ruolo crescente delle donne nella vita politica indiana: dopo le ultime elezioni, circa un terzo dei cittadini indiani abita in stati governati da una donna; due donne sono a capo del Congress Party e del principale partito di opposizione, il Bharatiya Janata Party. In secondo luogo indica il peso sempre maggiore che hanno i partiti regionali nel complicatissimo sistema politico indiano, molto legato a poteri locali e molto dipendente dalle alleanze dei partiti maggiori con la miriade di movimenti diffusi solamente in alcune zone del paese.
foto: STRDEL/AFP/Getty Images