L’uomo che giudica i videogiochi
Per decidere l'età adatta per un videogame, guarda ore di partite senza giocare un solo minuto, alla ricerca di scene violente e "fontane di sangue"
Prima di arrivare nei negozi, in molti paesi del mondo i nuovi videogiochi sono valutati da un ente indipendente dai produttori, che indica la fascia di pubblico cui sono consigliati e l’eventuale presenza di contenuti giudicati violenti o diseducativi. Tra i comportamenti ritenuti censurabili ci sono l’incoraggiamento all’uso di droghe o al gioco d’azzardo, il linguaggio volgare, la pornografia e le scene di violenza. Il sistema in uso dal 2003 in buona parte dell’Europa è il PEGI (Pan European Game Information), e indica «il gruppo d’età per il quale forme di intrattenimento quali film, video, DVD e giochi per computer sono più adatte». Le categorie sono cinque, rispettivamente a partire dai 3, 7, 12, 16 e 18 anni. Negli Stati Uniti, l’ente che si occupa delle indicazioni d’età è l’ESRB (Entertainment Software Rating Board), creato nel 1994 dai produttori di videogiochi ma formato da esperti anonimi e indipendenti.
Negli Stati Uniti le categorie sono leggermente diverse ed espresse tramite sigle: EC (Early Childhood, a partire dai 3 anni), E (Everyone, a partire dai 6 anni), E10+ (dai 10 anni di età), T (Teen, a partire dai 13 anni), M (Mature, dai 17 anni) e AO (Adults Only, solo per chi ha compiuto 18 anni). La classificazione non è obbligatoria per legge né negli USA, né in gran parte dei paesi europei, e questo è il motivo per cui alcuni giochi non vengono valutati. Jacob Rubin ha lavorato all’ERSB nel 2000 e racconta su Slate come funziona il mestiere di valutatore di videogiochi, e come potrebbe cambiare nel prossimo futuro.
Per prima cosa, gli esaminatori non giocano ai videogame che devono valutare. I produttori forniscono un filmato (quando ci lavorava Rubin erano ancora videocassette VHS, oggi sono DVD) che contiene ore e ore di registrazioni di partite, con le quali le aziende si impegnano a dare un resoconto dettagliato di tutti i contenuti meno edificanti dei loro prodotti. Se viene nascosto qualcosa, l’ESRB può imporre modifiche o far pagare delle multe. Un caso celebre si è verificato nel 2005, quando si scoprì dopo la messa in commercio che in una versione di Grand Theft Auto si poteva accedere a un livello segreto con contenuti sessualmente espliciti.
Ai tempi in cui lavorava Rubin, l’esaminatore doveva registrare con un cronometro tutti i momenti in cui, per esempio, «al personaggio del videogioco veniva offerta una birra oppure veniva incoraggiato a uccidere uno sconosciuto». Spesso il totale ammonta a pochi minuti di materiale discutibile. La seconda parte del lavoro era “d’archivio”: per assicurare l’equilibrio e la costanza nel giudizio, l’esaminatore doveva immergersi nel grande archivio dell’ERSB e cercare giochi simili che, nel passato, avessero le stesse caratteristiche di contenuto. A detta di Rubin, che non è mai stato un accanito videogiocatore, era un lavoro piuttosto noioso.
Negli ultimi dieci anni, però, l’industria dei videogiochi è cresciuta enormemente e un organo di controllo fa molta fatica a stare dietro a tutti i nuovi titoli, che sono più di settecento all’anno. Per questo motivo l’ERSB ha deciso di introdurre, a partire dalla fine di aprile, un questionario che permette a un programma per computer di fare una prima selezione sulla categoria da assegnare a ogni gioco in base alle risposte fornite. Per ora, il lavoro dei controllori non sarà eliminato, perché il giudizio ottenuto con il questionario dovrà comunque incontrare la conferma di controlli fatti da persone in carne ed ossa.
Il questionario è a risposta multipla, è diviso in otto domande principali con una serie di sotto-domande e con linguaggio estremamente conciso elenca tutte le cose discutibili che si potrebbero trovare nel corso del gioco. I risultati sono a volte piuttosto curiosi. Per quanto riguarda la violenza, ad esempio, il livello più essere “alto”, in caso di “smembramento” o “grandi fontane di sangue”; medio, oppure lieve/limitato, se si incontrano solo “pozzanghere poco frequenti di sangue”. I produttori devono poi indicare quali sono gli obbiettivi della violenza: se nemici e avversari diretti oppure anche terze persone che non c’entrano niente (come passanti o tecnici). Il questionario non è stato interamente reso pubblico, ma pare che, ancora per qualche tempo, ci sarà lavoro per i controllori di videogiochi.
foto: Michael Tullberg/Getty Images