In difesa della commozione di Napolitano

Il direttore della Stampa contro i giornali che hanno sghignazzato anche di quella

Oggi Mario Calabresi, direttore della Stampa e figlio a sua volta di un uomo ucciso dalla violenza degli anni Settanta, è intervenuto contro i quotidiani che ieri avevano irriso e criticato il momento di commozione del presidente della Repubblica durante la cerimonia per le vittime del terrorismo.

Oggi userò questo mio spazio per raccontarvi una storia che non riesco a ignorare. Lunedì mattina Giorgio Napolitano si è commosso pubblicamente al Quirinale. Gli è successo dopo aver ascoltato le testimonianze di quattro persone a cui è stato ucciso il padre. Quei padri erano un poliziotto, un carabiniere, un agente della polizia penitenziaria e un medico. Tutti e quattro assassinati dal terrorismo rosso.

Uno dei figli ha ricordato, tra le lacrime, il giorno in cui spararono al papà: «Avevo appena finito l’esame di seconda elementare ed ero tornato di corsa a casa per dirlo ai miei genitori. Ero sulla porta quando mia madre ricevette una telefonata e si precipitò fuori, lasciandomi da una vicina. Sarebbe tornata da sola quella sera: mio padre non l’avrei mai più visto. In un attimo un bambino di appena 8 anni felice e contento divenne un bambino infelice e orfano». Quando questo ragazzo ha finito di raccontare, il presidente della Repubblica è scattato in piedi per andare ad abbracciare quei figli. Quando è stato il suo turno di parlare, Napolitano si è commosso più volte, l’ultima quando ha concluso ricordando lo sforzo fatto in questi anni per istituire «questo giorno della memoria che è entrato ormai nel nostro cuore». Ero seduto in mezzo al pubblico e tutti si sono commossi.

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