Il boss e la processione a Castellammare
Il Corriere racconta la storia del sindaco del PdL che ha sfidato sia la camorra che la Chiesa
Goffredo Buccini racconta sul Corriere della Sera il difficile tentativo del sindaco di Castellammare di Stabia di opporsi alla camorra.
La cappella della santa e il balcone del boss stanno a nemmeno dieci metri di distanza: sulla stessa facciata del palazzone di via Brin, a due passi dal porto in crisi e dagli eterni striscioni di protesta della Fincantieri. Qui il cancelletto sgarrupato e quasi sempre chiuso («aprì per l’Immacolata due anni fa» , dicono) di Santa Fara; lì, al primo piano, la loggetta temuta e riverita da cui s’è affacciato per anni Renato Raffone, detto «Battifredo», consuocero dei D’Alessandro. A Castellammare tutto è un po’ mischiato, del resto, è dura separare col coltello il bene dal male: figli di professionisti e figli di camorristi crescono assieme sui banchi di scuola, per strada o al bar continuano a darsi del tu, un po’ come Santa Fara e Battifredo nel palazzo di via Brin, magari. Si capisce che sulla commistione deve aver giocato il boss, che due volte l’anno faceva capolino da lassù come un padreterno, in occasione della processione di San Catello, vescovo d’epoca longobarda e patrono della città. S’affacciava, si batteva la mano sul cuore davanti al popolo osannante, esponeva un drappo rosso dal davanzale, c’è chi giura che desse il via libera alla ripartenza. «Gli accendevano pure i fuochi d’artificio là sotto, la prima volta che l’ho visto non ci volevo credere» , racconta adesso Luigi Bobbio, sindaco Pdl da un anno, ex pm antimafia, ex duro di Alleanza Nazionale, poco propenso all’understatement: «Io a certa gentaglia sparo in fronte, metaforicamente parlando, si capisce…» .
Domenica la tradizione dell’omaggio a Battifredo ha subito un colpo. E qualcosa s’è spezzato tra sindaco e vescovo, certo per un bel pezzo. Perché davanti ai fedeli — e in favore di telecamera — Bobbio ha deciso di mandare all’aria la tappa di via Brin sotto il fatale balcone. La scena, immortalata nei video, toglie il respiro come un noir. Gigino lo sceriffo ordina ai portantini: «Nun ce fermamm’, guaglioni» , tiriamo dritto. Loro, una specie di consorteria alquanto sensibile alle ragioni della camorra stabiese, resistono statua in spalla: «Simm’gent’e core, che ci costa fermarci?» , dice uno. «Qua so’ tutti camorristi!» , ringhia un altro. Bobbio tiene duro: «Me ne fotto di Battifredo» , niente salamelecchi al padrino. E qui entra in campo il vescovo, magari animato dalla pia intenzione di placare gli animi, con risultati tutt’altro che felici: «Noi ci fermiamo per il santo» , dice, tradendo un tremolio nella voce. Insomma: ragioni superiori, Deus vult. «Ma lei sa bene come viene letta questa cosa, la camorra vive di questi simboli, si rafforza quel personaggio» , lo stronca il sindaco e si capisce che non sta parlando di San Catello: pochi minuti dopo porta via il gonfalone, si toglie la fascia tricolore e si sfila dalla processione, un capitano dei carabinieri farà rapporto al prefetto e al procuratore.
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